Sperimentatore senza sosta, il giapponese Ryoji Ikeda è stato considerato per quasi un ventennio il maggiore esponente della computer music. Compositore e artista visivo, la sua ricerca lo ha portato a indagare costantemente il rapporto fra uomo e macchina e, come altri ricercatori di musica elettronica del nuovo millennio, a dare peso in ugual misura a musica ed immagini, entrambi generati con rigorosa precisione matematica.
La sua prima apparizione romana risale al 2001 in quel di Pietralata, seguita da moltissime altre, fino a diventare quasi un appuntamento fisso per gli appassionati di nuove sonorità, con tanto di ovvio passaggio per Dissonanze. Il primo incontro con il Romaeuropa Festival è del 2003, un festival nel festival che si chiamava Sonarsound, sulla falsariga del Sonar di Barcellona, ma non possiamo di certo dimenticare quello datato 2011, che vide Ikeda dividere il palco del Teatro Palladium con Carter Tutti, ovvero Chris e Cosey dei Throbbing Gristle.
L’esplorazione dei suoni da parte di Ikeda non era però destinata a fermarsi ed ecco quello che potrebbe sembrare un brusco cambio di rotta, quasi un rifiuto del contemporaneo che si proietta nel futuro a favore di un rifugio nel passato. Ecco quindi l’abbandono delle macchine per la riscoperta degli oggetti, dei suoni ancestrali: percussioni, metronomi, metalli, lo sfogliare delle pagine di un libro, il battere delle mani. Oggetti e strumenti acustici vengono poi disposti in scena con millimetrica precisione e perfezione coreografica, ricreando ancora una volta quel rigore matematico tanto inseguito. Oggi, a quattro anni di distanza dalla presentazione di “Music for Percussion”, con la collaborazione del gruppo di percussionisti svizzeri Eklekto, Romaeuropa presenta “music for percussion 2” in prima nazionale, con cinque composizioni in programma per duo e trio, a proporci i suoni, rigorosamente non amplificati, di telegrafi, metronomi, libri, righelli, palle da basket e da ping pong.
Written by Carlo Cimmino