A inizio settembre per un insieme di circostanze mi trovavo nel sud della francia in un campeggio in cui la maggior parte dei frequentanti era di provenienza marocchina. L’unica lingua parlata era l’arabo e un accenno di francese in cui non andavo particolarmente forte per cui la comunicazione è finita ben presto in gesti e canne passate finchè una sera non parte da un telefono a tutto volume una traccia trap italiana. Era Marocchino di Baby Gang, hittona del 2021. 

Baby Gang è simbolo di quella trap che arriva dalla strada e finisce dalla major senza porta laterale. Il piglio con cui il tipo affronta la questione si può vedere in vari video in cui viene provato ad essere delineato come una star, fino all’ultimo invito in una scuola superiore di Pesaro a parlare ai giovani come esempio da seguire: fa memare ma fa anche riflettere. Ma oltre alla storia che viene portata ed arrangiata con un flow da paura, evidentemente la vibe esce fuori oltre al linguaggio – cosa piuttosto complessa nell’ecosistema hip hop. Tanto da regalare dello swag anche a questi ragazzi che di quello che diceva non capivano assolutamente nulla, ma lo ripetevano alla perfezione come un freestyle improvvisato. Io credevo singolarmente ad ognuno di loro. 

Difficile pensare come questa resa possa essere portata anche in una dimensione come quella di un grosso concerto, a cui Baby Gang è arrivato senza passare dai palchi piccoli. Allo stesso modo appare l’unico modo di fruire questa musica: non parla di sottocultura, non porta referenze e senza nessuna pretesa artistica “canta di strada, mica canta di come l’ha lasciata”.