Ad could not be loaded.

Tue 05.03 2024 – Tue 16.04 2024

Eutopia

Where

Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano)
Largo Gemelli 1, 20123 Milano

When

Tuesday 05 March 2024 – Tuesday 16 April 2024

How much

free

Contacts

Sito web

Oliviero Fiorenzi, "Casa del Vento"

Il “protagonista” di uno dei miei romanzi preferiti, Underworld di Don DeLillo, lavora ai piani alti per un’azienda di raccolta e smaltimento di rifiuti e verso metà del racconto si imbatte in Jesse Detwiler, visionario e teorico dell’immondizia le cui provocazioni “avevano spaventato tutto il settore”. I due si incontrano in una sorta di merzbau ricoperta di stalattiti di plastica a mezz’ora ad est da Los Angeles insieme a un terzo personaggio, Sim, che nella vita fa l’architetto di discariche. Il discorso che ne viene fuori è tra i più interessanti – letterari e non – nel riscrivere il concetto di città. In breve, secondo Jesse, la civiltà è costruita sulla spazzatura, la storia è guidata dalla spazzatura, le metropoli non sono altro che un sistema costruito per spingere il putrido, il non voluto ai margini. Così, l’immondizia si è sviluppata per prima – prima della filosofia, dell’arte, della scienza e dell’architettura – e ha spinto per travolgerci. Gli agglomerati urbani sono nati per reagire alla sua forza, per difendersi dalla spazzatura. 

Underworld esce nel 1997 e compete con Pastorale Americana per aggiudicarsi il premio Pulitzer. I due romanzi sono un po’ come la cheerleader popolare e la ragazza del coro che si sfidano sul palco nelle romcom statunitensi: all’inizio del film sembrano completamente diverse e poi si scoprono essere entrambe un prodotto precoce delle paure di un’epoca a venire, che ora è la nostra. 

Pastorale Americana l’ho sempre vista come una sicura chiesa nel mezzo della provincia che un giorno per caso va a fuoco. Era un ritratto di una civiltà morente, il cui linguaggio e i cui codici – completamente snaturati – ogni tanto tentano ancora di resuscitare impacchettati dalle destre europee e statunitensi. Underworld cominciava invece a raccontare quello che pulsava sotto terra: le grandi metropoli come mostri feroci pronte a fagocitare tutti gli altri stili di vita. Spazzatura, chili di autostrade e auto, slalom tra le siringhe nei palazzoni delle periferie, la chiusura dei negozi locali, l’esplosione dei grandi magazzini, le disavventure degli anziani del Bronx attraverso le faticose scalinate dei mezzi di trasporto, i figli a cui regalare una vita migliore nei suburbs appena costruiti. DeLillo in Underworld comincia a contrassegnare gli stilemi e le domande sull’abitare che sono da poco arrivate dagli Stati Uniti all’Europa e poi in Italia quando le piazze di Parigi e Milano hanno cominciato a chiudere e trasformarsi in centri commerciali a cielo aperto, la spazzatura a inondare Roma creando un complesso sistema di aquile e gabbiani, i fondi di investimento esteri ad acquistare tutto ciò che va a male in frigo, tutti i palazzi abbandonati che poi abbandonati non sono. 

Non so come finiremo, se sottosopra o a testa in su, ma già ora mi piace raccontarlo. E per questa ragione, Eutopia, questa mostra collettiva nelle diverse sedi dell’Università Cattolica, mi incuriosisce. Me la immagino come un’ultima festa, un faro gatsbiano o una stalattite più luminosa nel caos e nelle macerie di una città che sta subendo un cambiamento epocale o che, semplicemente, sta diventando ciò che è sempre stata destinata a essere. I nomi coinvolti sono quelli di sempre, che se hai la mia età e frequenti le inaugurazioni da un po’ hai sentito e visto: Marina Cavadini, Oliviero Fiorenzi, Mattia Pannoni, Stefano Ferrari, Giorgio Mattia. Se hai dimestichezza con artisti più celebri che hanno esplorato il rapporto con l’abitare avrai sentito sicuramente parlare di Ugo La Pietra e Francesco Somaini. Ma il tema è particolare: richiede ai quindici artisti di mettersi in gioco in modo diverso, di raccontare il loro rapporto con la città che hanno scelto di inserire nella bio, quella che – più importante della casa natale – è diventata un po’ la loro identità, lo sfondo dove – volenti o nolenti – sorgono le loro opere. 

Eutopia sta per un’utopia realizzabile, ciò che ancora si può fare. Come si pensa una coreografia sulle macerie? Quali sono i nuovi rapporti che l’arte potrebbe instaurare con la lotta per la casa e la resistenza abitativa? Quale storie vale la pena di raccontare prima di scappare dal sogno di Milano? Il programma di conferenze tratta i temi che sempre più spesso emergono nelle conversazioni tra i conterranei di questa città costruita sui processi migratori: il rapporto tra natura e città (“Hanno davvero senso i boschi verticali?”), la perdita di spazi comunitari e la convivialità nelle zone liminali (“Perché a Milano hanno chiuso gran parte dei centri sociali?”), lo scollamento tra i cittadini e le narrazioni del marketing urbano (“A chi interessano davvero le Olimpiadi?”), il diritto alla casa e i disastri urbani. 

Anche se ci sentiamo fuori dal giro, disinteressati e disillusi, usciti dai bordi della città meneghina e allontanati, via, oltre la circonvallazione, per chi è rimasto qui questa è la Milano con cui dobbiamo fare i conti, quella che, anche nell’infedeltà, scatena sempre sentimenti di fedeltà.

Written by Alessia Baranello