Ogni volta che leggo o sento qualcuno lamentarsi dei “giovani d’oggi” perché trascorrono troppo tempo a giocare alla Playstation, non posso che ripensare a parecchi pomeriggi della mia di gioventù. Fin dall’infanzia, da quel Natale in cui i cugini arrivarono con un pesante macchinario da attaccare al televisore per giocare con una pixelata “pallina” che rimbalzava qua e là. E poi le attese infinite e rumorose del caricamento dei giochi su cassetta dello Spectrum, prima del trionfale arrivo arrivo di Amiga che occupava metà della mia stanza ma il 100% dei miei pomeriggi. Non occorre ritrovare le parole dell’inventore di Pac-Man per spiegare quanto i videogiochi abbiano plasmato la crescita di tutte le generazioni occidentali degli ultimi 40 anni, con buona pace di chi oggi preferisce archiviare quei pomeriggi come perdite di tempo. Invece erano ore sì di gioco, ma altresì di esplorazione, meraviglia e ascolto. Perché dacché il videogioco è arrivato nelle nostre case, ha portato con sé un mondo di suoni.
Arcade Music, appuntamento conclusivo della rassegna “Puntuale”, che ha impegnato il collettivo di musica (anti)classica 19’40” in questi primi mesi del 2024, è un tributo a quei suoni e a chi ha immaginato quei mondi in cui muoversi divertendosi e anche cadere, come in buchi neri. Un percorso avviato dagli uomini e dalla loro inventiva ma portato avanti dalle macchine, e così non sarà un’orchestra a suonare, bensì delle macchine (un Juno, un Korg, un JEN e un Multivox). Peccato solo che sia di sera, io gli avrei dedicato un intero pomeriggio, con l’obbligo di presentarsi dicendo che si andava a fare i compiti.
Written by Filip J Cauz