Prosegue il mio viaggio alla scoperta di parole nuove con guintche, che in creolo portoghese significa uccello, o meglio qualcosa che svolazza di qua e di là, che salta di palo in frasca, e viene usata anche per indicare le prostitute (ma non i dongiovanni!). Leone d’argento per la danza alla Biennale di Venezia del 2018, la coreografa e danzatrice capoverdiana Marlene Montero Freitas, si trasforma in un guintche da quasi quattordici anni. Tuttavia oggi Guintche, al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano, è proposta in una versione un po’ nuova: due (bravissimi) batteristi suonano in diretta, condividendo con lei il palcoscenico di cui diventano le due quinte.
Ma cosa succede su quel limite che dal palco guarda il pubblico, e quasi gli si getta sopra? Ci sto ancora pensando. Lo spettacolo inizia lento, Monteiro Freitas si aggira tra le poltrone portando un turibolo liturgico, sacerdotessa pagana ricoperta da un accappatoio lucido da boxeur. C’è ancora la luce accesa e un fumo azzurrino, tipico delle magie, aleggia nell’ambiente.
All’improvviso buio, un’esplosione di suono, i tamburi delle due batterie impazziti. Salto sulla poltrona. Luce. Lei è lì, al centro, rossa e viola, mezza piumata, sotto un caldissimo occhio di bue. Ancheggia ritmicamente, veloce, velocissima, saldissima sulle gambe, mentre il volto, la bocca, le braccia e le mani svolazzano, mimano, masticano. Con espressività caricata, già definita giustamente carnevalesca, raccontano una storia di trasformazione, di tutto in uno.
Poi si ferma. Buio. Qualche applauso incerto, siamo stremati noi nel pubblico, investiti dall’intensità della musica e dall’energia della danzatrice. Invece riprende, si apre un secondo capitolo, ora Monteiro Freitas è una pugile, saltella, o forse è una schermitrice, una ballerina classica, e poi è meccanica, una soldatina? Ormai spogliata dei panni animaleschi è una ginnasta o forse un’artista circense: esplora il movimento, ripetendo gesti e ritmi, blocchi, silenzi, buio, e poi rinascita. Instancabile fenice.
Quello che succede è inspiegabile a parole, troppo vicino all’energia pura, al sole.
Written by Irene Caravita