Prossimità: parola chiave, parola d’ordine, parola dibattuta in tutte le salse possibili. L’abbiamo sentita ripetere più e più volte, soprattutto nel corso degli ultimi tre anni – e qui, pace all’anima di architetti, urbanisti, pratictioneer, city planners, social e service designer e community manager, che con questa parola hanno confrontarsi ininterrottamente durante studi e pratiche e progetti, in particolare i primi due con gli studi di prossemica, per non parlare poi dei fenomenologhi, per cui la questione della prossimità, dei dintorni, delle vicinanze, dei qui e dei là è decisamente un pezzo fondativo dello stare al mondo –, e dopo questo lungo inciso arrivano i quartieri, giunti pressappoco assieme al contingentamento e a quei famosi 200m di circondario, e assieme a loro l’attenzione a occhio di bue, incuneata, su convivialità, spazi sociali e quell’animale dello spazio pubblico, entità che, visti tutti i sintomi più che evidenti della sua deriva, “ama nascondersi”, detto con discrezione e gentilezza. La domanda è semplice, e come tutte le domande semplici è un vaso di pandora. Scoperchiandola, rabbocca tutti i problemi possibili, dai più evidenti come quelli delle filiere corte e delle economie circolari, per l’appunto, di prossimità, fino alla divisione del lavoro, alle fragilità dell’abitare e al sostentamento degli spazi indipendenti.
Per la Design Week, Temporiuso assieme a Collective Works e ConstructLab (l’una olandese e l’altra tedesca, entrambe realtà attive nel dibattito relativo ai temi della convivialità e dello spazio pubblico) e con la collaborazione di Bricheco – la falegnameria di Stecca3 –, presentano Kiosk of Reciprocity. Un chioschetto mobile che animerà per tutta la settimana del design la piazzetta retrostante alla Stecca3, con un public program dal nome azzeccato, Crafting dialogues (poiché prima di tutto, prima d’esser fatto, un discorso va costruito, aka: quella vecchia storia della maieutica), in cui convergerà una folta rosa di professionisti a discutere di quel che sostanzia la città al giorno d’oggi: dagli eventi d’impatto all’eredità storica dei luoghi, passando per le idee di store – che riguardano sì i negozietti ma interi quartieri, preesistenti o ex novo – fino all’economia di prossimità, e qui torniamo all’inizio, il cui soggetto sarà proprio il Kiosk of Reciprocity. Questo perché il progetto del Chiosco sarà a tutti gli effetti un dispositivo per riflettere sulle pratiche propedeutiche al sostentamento degli spazi indipendenti – proprio come Stecca3 – e al loro apporto reale nei luoghi in cui risiedono. Essendo poi a tutti gli effetti mobile, il Chiosco si propone di far viaggetti per la città, integrandosi in qualità di risorsa in altri spazi similari, spazi ibridi.
Si registra insomma un’altra questione di rilievo che, messa giù con poco rigore, vale a dire con quella postura che si ritiene “severa ma giusta”, si riduce al dire che lo spazio non basta più a sé stesso. Quantomeno, non basta a sé stesso dal momento che l’iniziativa all’uso pubblico o sociale dello spazio sembra aver ben poca spontaneità, ben poca iniziativa, cosicché si rendono sempre più necessari dispositivi spaziali, attività e palinsesti per farlo. Seppur poi la questione dell’attivazione sia oltremodo bruttina, poiché rimanda troppo spesso a progettualità di natura commerciale, poco attente al dipanamento e alla sedimentazione delle relazioni sociali, all’articolazione del collettivo, va riconosciuta da un lato la possibilità, che poi è l’intento vero e proprio, di suggerire sempre altre modalità d’uso, di ravvivare l’immaginazione e un po’ imboccare le possibilità dello spazio, dall’altro del salvare il salvabile, vale a dire: evitare che il pubblico vada via via confondendosi tanto con il privato da essere indistinguibile – un po’ come andare in piazza Olivetti o in Gae Aulenti – riportandolo sull’effettivo apporto del collettivo, sulle pratiche immaginative e sull’autoorganizzazione dei servizi di prossimità.
Tutto sommato il Chiosco in questione è un simbolo: autocostruito, autoprogettato, autoorganizzato, ma soprattutto condiviso. Tanto nelle istanze che legano Collective Works, ConstructLab e Temporiuso, quanto negli intenti dei dibatti.
Written by Piergiorgio Caserini