Il pensiero zero entrando nella mostra “Roberto Sambonet – La teoria della forma” in Triennale (aperta fino a settembre) è stato: “A Roberto piaceva proprio fumare”.
Il suo ritratto fotografico, una gigantografia incollata al pannello osb che mi si piazza davanti agli occhi all’ingresso, è stato rivelatore grazie all’allestimento di Daniele Ledda di XyComm. La prima cosa che ho notato è la luminosità dei suoi denti, la seconda la posizione delle sue dita che impugnano quel che rimane di un bel cilindro di foglie di tabacco arrotolate, la terza l’aria ferma e priva di odore dello spazio della galleria, la quarta una riproduzione di quella mi pareva essere un barca marrone appesa con dei fili trasparenti che scendono dal soffitto proprio davanti alla stampa. Non l’ho capita, ma proprio per questo mi ha fatto restituire il sorriso al Sambonet della foto. Alla mia sinistra la parete è piena di manifesti grafici incorniciati (tanti su una città che ha fatto della contraddizione il suo mattone: costruita su fuoco e acqua, la bella Napoli). Sulla destra, invece, il testo dove i curatori (in questo caso Enrico Morteo nonché architetto, critico e storico del design e dell’architettura) scrivono una serie di giustificazioni per le loro scelte, stampate poi su dei prespaziati attaccati al muro con estrema perizia e precisione.
Il retro di questo primo pannello espositivo apre la sezione della mostra con altri ritratti fotografici (di Ugo Mulas, Pino Guidolotti, Serge Libiszewski); davanti a loro, degli autoritratti a olio, biro e matita. È un buon ottanta percento delle rappresentazioni quello dove Sambonet tiene in mano qualcosa di combustibile, che sia sigaro o sigaretta. E io riesco solo a immaginare quante altre se ne saranno spente tra le dita mentre produceva l’incredibile quantità e varietà della sua produzione come artista e designer.
Proseguendo con la camminata lenta e trascinata tipica da museo, arrivo alla parte dedicata al Brasile, dove ha trascorso un importante periodo di formazione dopo gli studi a Milano: la sua mano da ritrattista ha illustrato la “pazzia” degli internati del manicomio di Juqueri, dove venne invitato dal direttore Edu Machado Gomes a passarvi sei mesi, la sua esperienza ha insegnato al Museu de Arte de Sao Paulo dove ha progettato esposizioni, il suo occhio grafico ha tradotto i paesaggi vibranti tropicali in pattern e colori per tessuti attingendo dalla conoscenza indigena delle popolazioni del centro America.
Lo sguardo verso un orizzonte potenzialmente infinito, ritorna anche nella serie dedicata ai panorami costieri che diventano macchie di acquerello su carta e nella sua ricerca di metodologie di rappresentazione che rispettino i simbolismi in cui si riflettono frammenti di un ordine superiore, grazie all’utilizzo della Cabala e di modelli matematici per organizzare ricerche cromatiche e segniche.
Una parete di cartoline spedite da Roberto ai suoi figli tra il 1965 e il 1970 mi separa dal corpo centrale della mostra, che scopro essere diviso in “strutture” da alte pannellature ricoperte di fotocopie rosse con schizzi, fotografie, scansioni, ingrandimenti, materiale di studio di Sambonet: circolari, ortogonali, triangolari, organiche, psicologiche, cromatiche.
A questo punto del percorso, è ormai palese l’attenzione alla forma delle cose del mondo, che trova replica e riflesso negli oggetti, nei manifesti, nelle immagini, nelle lettere dell’artista-designer.
Questa organizzazione così “rigorosa”, si rivolta contro se stessa sul finale del percorso con le sue ultime due sezioni: mari e cucina. Diciotto sono i tentativi esposti di impressionare e catturare con olio su tela o carboncini e biro su carta ciò che una forma propria non ha: l’acqua. E ne “l’arte in tavola”, grazie alla collaborazione con il domenicale de Il Sole 24 Ore, Sambonet ha assecondato fino al 1987 la sua passione per riepiloghi ed elenchi, terminando ogni appuntamento con una ricetta con titolo e data, i nomi delle persone evocate (artisti, designer, amici, celebrità), i luoghi e gli ingredienti fondamentali.
Chissà come questo personaggio così curioso e vorace, si gustava la sigaretta dopo il caffè a fine pasto.
Written by Emma Bartolini