L’anno prossimo saranno già passati quindici anni dall’uscita dell’EP “CMYK” per R&S a firma James Blake. All’epoca questa uscita venne salutata come un nuovo e incredibile avanzamento della scena post-dubstep inglese che stava riscrivendo i suoni del clubbing globale. Un anno dopo, nel 2011, Blake licenziò il suo primo album (omonimo): l’aspettativa era quella di un disco elettronico “definitivo”, di una pietra miliare che avrebbero ballato anche i posteri dei posteri. Invece, migliaia e migliaia di nottambuli si ritrovarono a piangere lacrime infinite ascoltando un album soul di un’intensità struggente – il titolo del primo brano, “Unluck”, diceva tutto.
Da quel momento in poi la cifra di James Blake non è cambiata, mantenendosi in costante equilibrio tra elettronica e soul, tra dancefloor e solo piano, tra brani propri e cover strappalacrime – alla storica “Limit to Your Love” di Feist ha aggiunto nelle scalette anche “Godspeed” di Frank Ocean – confermandosi sempre come una delle figure chiave del pop moderno: se molti artisti hanno riscoperto il canto e la melodia a partire dalla seconda decade degli anni Zero, è stato proprio a causa di quell’album spiazzante di tredici anni fa.
Lo scorso anno è uscito un nuovo disco, “Playing Robots Into Heaven”, stupenda conferma di tutto il repertorio e di tutta la bravura dell’artista londinese: nei tre brani di apertura si passa dalla ballad sognante “Asking To Break” al banger “Tell Me” con una leggerezza che solo i fuoriclasse hanno. Dopo il live al teatro di Ostia Antica, preparatevi a un altra esperienza mistica nella Cavea dell’Auditorium. “CMYK”? La fa, eccome!
Written by Nicola Gerundino