Daniel Wang rifiuta la maggior parte della techno e hip hop fatta con «Loop da computer idioti o campioni rubati». «It’s shit», dice, «la musica si fa nella composizione delle melodie, col basso, i passaggi armonici, le sequenze ritmiche». Così è diventato un’icona della disco del XXI secolo. Midtempo, disco beat, tutto elettronico, zero voci. Non ci siamo?
Allora, prendente il tempo di Bee Gees in “Night Fever”. Acceleratelo un pelo, ma poco. Togliete tutte le voci. Sostituite la batteria con un set ritmico electro style. Dategli una battuta anni Ottanta a quattro casse. Incollate un basso funk più inclinato ai Settanta. Spargete effetti elettronici dappertutto e sceglietene uno con il quale seguite la melodia. Ecco, è la disco di Daniel Wang.
Nato in California, poi si è trasferito a New York., ma se n’è andato appena si è accorto che la grande mela non era più il centro della disco music mondiale. Ora è approdando a Berlino, dove sta lavorando al Panorama Bar e produce per etichette come !K7, Playhouse, Environ, oltre che per la sua Balihu. Ottimo dj e producer, ma anche imprevedibile performer. Una volta l’ho visto cospargere il pavimento di borotalco per rendere più fluidi i suoi passi di danza dietro la consolle. E una torrida domenica di luglio di qualche anno fa si scatenava sotto gli schizzi d’acqua nel giardino del Panne Bar, con un’improponibile tutina di jeans da hippoppettaro. Insomma, non il primo scappato di casa ma uno che, finché c’è musica, rimane saldo a bordo della nave, cazzo!
Written by La Redazione