Siamo nel romanzo La Vegetaria di Han Kang. Tre voci restituiscono uno spaccato della vita di Yeong-hye, offrendo tre punti di vista diversi – del marito, del cognato e della sorella – che non coincidono con quello della protagonista; di cui, infatti, si leggono solo i sogni e le azioni descritte. Han Kang – vincitrice del Premio Nobel (2024) – riesce, così, attraverso le voci degli altri, a ritrarre le scelte, dall’esterno incomprensibili, di colei che le compie. Sorprendentemente, quasi per sottrazione, sebbene Yeong-hye non abbia mai diritto alla parola, emerge ciò che pensa, mentre la maggior parte di chi la circonda non la comprende e risulta giudicante nei suoi confronti. E se nel romanzo nessuno sta davvero dalla parte di Yeong-hye e chi ci prova viene a sua volta escluso, i lettori, tutti, non possono che – almeno per la durata del romanzo – immergersi nel suo mondo ed empatizzare con lei. 

L’autrice descrive ciò che appare inafferrabile e, tuttavia, per chi legge, diventa estremamente realistico, con un immediato ribaltamento di significato: una possibile malattia mentale si rivela essere semplicemente un altro mondo inesplorato, un modo di pensare diverso, ma non per questo sbagliato.

È probabilmente proprio l’inafferrabilità di questo grande romanzo, ad aver spinto Daria Deflorian a metterlo in scena e, insieme a Monica Piseddu, Paolo Musio e Gabriele Portoghese, ad affrontare l’“intensa prosa poetica che esplora i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana” di Han Kang, portando La vegetariana sui palchi italiani, da Romaeuropa a Bologna e ora in Triennale.