Negli ultimi anni i Molchat Doma sono diventati un caso globale, anche se a guardarli sembrano usciti da un vecchio film sovietico in bianco e nero. Formatisi a Minsk nel 2017, hanno riportato in vita il post-punk e la cold wave della Perestrojka con un suono glaciale, essenziale. Non è solo nostalgia da “doomer”, ma un’estetica fredda che ti avvolge come una coperta consumata, tra bassi pulsanti, synth scarni e la voce distaccata di Egor Shkutko, che canta in russo storie di alienazione e solitudine.

Il loro grande successo è arrivato in piena epoca pandemica grazie a TikTok, dove una traccia come “Sudno” è diventata la colonna sonora di decine di migliaia di reel e video dedicati all’architettura brutalista e agli spazi urbani dell’Est Europa. D’altronde, certe architetture che sfidano la gravità appaiono nelle copertine dei loro dischi e da quest’anno anche in un loro live: a inizio 2025 hanno registrato il loro primo album live al Panorama Hotel in Slovacchia, icona brutalista immortalata sulla copertina del loro disco di svolta “Etazhi”. Per una sera, proveremo a immaginare cosa sarebbe successo se la Cavea dell’Auditorium fosse stata progettata da un architetto sovietico e non da Renzo Piano.