Ero troppo giovane – e forse anche troppo poco allenato allo scandalo – quando vidi per la prima volta Scarlet Diva. Ricordo soprattutto una sensazione: un misto seducente e disturbante di disagio e fascinazione. Un cinema che sembrava non voler piacere a nessuno, e che proprio per questo mi sembrava irresistibile. Rivederlo oggi, venticinque anni dopo la sua uscita, significa fare i conti non tanto con un film, ma con un gesto.
Asia Argento, nel suo esordio alla regia, non racconta una storia: si mette a nudo.
Un atto di furia, di rabbia, di esibizione e di verità. Asia Argento, nel suo esordio alla regia, non racconta una storia: si mette a nudo. Letteralmente e metaforicamente. E in questa spudoratezza c’è già tutto il suo talento, e insieme la sua condanna. Scarlet Diva è un oggetto diseducato e a volte goffo, eppure pulsante di un’energia che il cinema italiano ha troppo spesso dimenticato. La struttura narrativa è praticamente inesistente, la macchina da presa ondeggia senza disciplina. Ma dentro questo caos c’è sangue vero. C’è il coraggio di mostrare la fragilità, l’autodistruzione, la dipendenza dagli altri, dal sesso, dalle droghe, dal bisogno di essere vista, desiderata e amata. Asia costruisce un personaggio che è maschera e specchio, Anna Battista, e le presta il proprio volto, il proprio corpo, i propri fantasmi. Un film scritto, diretto, interpretato, montato da lei: una “pellicola-monster”, egocentrica e disperata, ma autentica come poche.
Io Asia l’ho sempre pensata così: un talento smisurato e indisciplinato. La Balotelli del cinema italiano, una come Gianluca Grignani nella musica: capace di cose altissime e pure di sabotarsi da sola. Il suo problema non è mai stata la mancanza di idee, ma il contrario: un eccesso di sé, un’ipertrofia emotiva che non ha mai trovato un vero argine, una struttura che la contenesse senza soffocarla. A Scarlet Diva forse serviva un altro sceneggiatore, un altro montatore, un produttore in grado di dire “no”, per renderlo un film bello in modo canonico, pulito. Ma proprio quell’assenza di filtri rende la pellicola così unica, così irripetibile. E non è vero che Asia si è esaurita lì. Nei suoi film successivi, Ingannevole è il cuore più di ogni cosa (2004) e Incompresa (2014), tornano momenti di cinema potentissimi, ferite aperte, immagini capaci di toccare nervi scoperti. Ancora una volta, è il dolore a guidare la messa in scena: l’infanzia violata, l’abbandono, il senso di essere fuori dal mondo. In Incompresa, soprattutto, c’è una delicatezza che sorprende, come se la regista avesse provato a trasformare il caos in memoria, la sofferenza in racconto. Con una sincerità, a tratti, commovente.
Il problema, forse, è che di Asia si è sempre parlato più per la sua vita che per il suo cinema. Il rapporto con Morgan, all’epoca di Scarlet Diva, e poi il Me Too e lo scandalo Harvey Weinstein, il caso Jimmy Bennett, il suicidio del compagno Anthony Bourdain. Un’esistenza che sembra essa stessa un film, una tragedia moderna in cui l’attrice non ha mai smesso di essere personaggio, anche quando sarebbe stato meglio sparire dall’inquadratura. Ma anche questo, nel bene e nel male, fa parte della sua verità: Asia Argento non ha mai saputo – o voluto – separare arte e vita. Ed è per questo che, nonostante tutto, è impossibile non amarla. Per la grinta, per l’autenticità, per quella sincerità brutale che rarissime volte si incontrano nel nostro cinema. Perché ha osato quando tutti cercavano solo di essere “presentabili”. Perché ha messo in scena l’indicibile, il fallimento, il desiderio, la vergogna e il piacere. Perché Scarlet Diva, con tutti i suoi difetti, resta un grido ancora vivo. E perché Asia, con tutte le sue cadute, resta uno dei talenti più spericolati, irregolari e feriti che il cinema italiano abbia mai avuto. Un talento che non ha espresso tutto il suo potenziale? Forse. Ma proprio per questo, lo sguardo di Asia Argento è straordinariamente umano.
Asia Argento sabato 13 dicembre introduce la proiezione del film al pubblico in un incontro con il direttore della rivista Nocturno Manlio Gomarasca.
Written by Emiliano Dal Toso