I Wolf Eyes sono una delle realtà più aggressive e meglio conservate dell’America anni ’00. Non è difficile immaginarli a spasso per i quartieri abbandonati della loro Detroit, i giubbotti di pelle che sfrigolano contro i sedili delle moto e fendono le cortine di smog delle industrie dismesse. Nella loro carriera i tre buzzurri del Michigan hanno mischiato attitudine slacker e credo DIY per dare vita all’estetica più riconoscibile del noise americano, un pastone di trucioli e chiodi arrugginiti, droghe andate a male e tumefazioni da risse nella polvere. La mole discografica che hanno partorito in oltre tre lustri di attività si divide equamente fra industrial oltranzista, noise sporcato all’inverosimile, mantra psichedelici da bad trip istantaneo. Proprio su questo versante i Wolf Eyes sembrano spingere con l’ultimo album I Am A Problem: Mind In Pieces. Nonostante il lavoro sia uscito per la Third Man – l’etichetta dell’iperattivo Jack White – non si può certo dire che i nostri si siano imborghesiti. Coniugando la solita ossessione per il lo-fi e la psichedelia (intesa come ripetizione macilenta di progressioni disturbati) i tre sono riusciti a costruire l’album più “rock” della loro carriera. Adesso arrivano a Bologna in grande spolvero, pronti a far saltare i timpani e sghignazzare dell’acufene altrui. Perché anche attraverso il marciume si raggiunge la beatitudine.