Questa non è una mostra, è un universo rivelato. È un panorama incredibilmente dettagliato del cosiddetto “spazio artistico Jugoslavo” nella seconda metà del Novecento, uno spazio di eccezione praticamente sconosciuto in Italia, se non per minuscoli frammenti da appassionati e studiosi.
Dopo lo Scisma di Tito, la rottura nel 1948 della Jugoslavia con il blocco comunista, l’arte fu liberata dall’adesione obbligatoria all’insipido realismo socialista: questo evento determinò non solo la rivalutazione ufficiale delle avanguardie moderniste, ma anche l’emersione di una serie di gruppi artistici straordinari, da EXAT 51 e Gorgona, entrambi di Zagabria, agli sloveni di OHO, i Bosch+Bosch (serbi).
A capolavori assoluti dell’arte astratta come le opere di Vojin Bakić (c’è anche il modello dello straordinario monumento alla resistenza di Petrova Gora, 37 metri di curve metalliche) si affiancano installazioni, opere grafiche, film, performance, e moltissima arte concettuale, tutti pezzi di un’unica collezione: quella di Marinko Sudac, che da anni gira senza sosta per città e archivi di ogni angolo dell’est Europa, acquisendo materiali inimmaginabili.
Dagli anni 60 in poi il territorio indagato dalla mostra si espande: e allora vediamo la Stella Negativa dell’ungherese Gabor Attalai, ottenuta spalando la neve da una scalinata, le fotografie di Julius Koller e Stano Filko, cecoslovacchi, e una sequenza pazzesca di lavori che testimoniano il lavoro della contaminazione, degli intrecci culturali più o meno sotterranei che si materializzavano tra studi e spazi indipendenti di mezza Europa, quella più nascosta.
Il catalogo arriverà poi, ma vale la pena di vedere o rivedere queste meraviglie riunite prima che tornino a est, il 23 dicembre.
Written by Lucia Tozzi