Qualche anno fa decisi di partire all’improvviso per Parigi: avevo letto sul giornale che Charles Aznavour (che allora aveva ottant’anni) avrebbe fatto il suo ultimo concerto, non in un posto qualsiasi ma all’Olympia. Fu un vero trionfo e piansi come un coccodrillo quando attaccarono le prime note di Je me voyais déjà, quello che per me resta il suo capolavoro, in cui racconta come da bambino già si immaginasse cosa sarebbe successo della sua vita. La storia di questo grande chansonnier, che alcuni considerano l’alter ego europeo di Frank Sinatra, non si può disgiungere dalla storia degli armeni: sua madre fuggì incinta dal genocidio, da Smirne attraverso la Turchia, i Balcani e mezza Europa arrivò in Francia. Il piccolo Charles, circense fin nel midollo, si distinse fin da giovane per le sue giacche bellissime, per la simpatia, e per una voce inimitabile: fu Edith Piaf a scoprirlo e ci emoziona anche solo l’idea che furono amici e sodali. Simbolo della Francia del dopoguerra, in innumerevoli film (Tirate sul pianista di François Truffaut è forse il culmine), fantastici i suoi successi degli anni 60, ha cantato ovunque e con chiunque, da Liza Minnelli a Céline Dion. Le sue canzoni sono state interpretate da migliaia di cantanti, tra cui ricordiamo l’indimenticato Gipo Farassino, chansonnier torinese per eccellenza, che cantò in dialetto piemontese la sua Bohème. Chi non l’ha ascoltato almeno una volta, a Verona dovrà andarci per forza, anche attraversando le montagne a piedi, come fece sua madre. Ricordiamocene, perché tra i ragazzi che arrivano in questi mesi potrebbe esserci la mamma di un genio che cambierà la musica del prossimo secolo.
https://www.youtube.com/watch?v=ycaYTG7xtSI
Written by Corrado Beldì