Non chiamatela Gnam perché da qualche tempo è semplicemente la Galleria Nazionale. Dopo un primo assaggio a giugno con la presentazione di The Lasting – mostra temporanea nel salone centrale – il museo riapre le sue porte completamente rinnovato nella disposizione e nella concezione dell’arte che è alla sua base. L’allestimento di stampo biennalistico – infatti resterà tale fino al 2018 – prende in prestito un verso dell’Amleto di Shakespeare: “Time is out of joint”, il tempo corre fuori dai binari. La direttrice Cristiana Collu, coadiuvata dal curatore Saretto Cincinelli, ha “osato” scompaginare la narrazione cronologica dell’allestimento voluto da Sandra Pinto a fine anni 90 e modificato in parte dalla precedente direttrice Maria Vittoria Marini Clarelli con l’inserimento di alcune sale tematiche, come quella dedicata alla guerra, da Fattori al Futurismo fino a Guttuso. Viene da chiedersi quale suggestione – ma anche più prosaicamente, quale comprensione – potrà derivare al visitatore medio da questo riordinamento delle collezioni. Si mescolano 500 opere di 170 artisti, i tempi e gli stili raggruppandoli di volta in volta per consonanza visiva (stesse pose, stessi temi) o per dissonanza, senza che un criterio prevalga in assoluto sugli altri, in totale libertà. Spesso il focus è una statua sette-ottocentesca che polarizza l’attenzione per poi rifletterla sulle opere contemporanee alle pareti. L’impressione è di una lunga galoppata a rotta di collo attraverso due secoli con tantissimi stimoli visivi che attivano connessioni neurali dimenticate e (forse) ne creano addirittura di nuove, suscitando domande, curiosità e voglia di riscoprire artisti forse ancora troppo poco celebrati, a cominciare dal grande Pino Pascali. Al di là del mirabile lavoro sulle collezioni – che si intuisce in progress – le perplessità riguardano più che altro la funzione didattica e di avvicinamento all’arte del museo, tanto è vero che alcuni membri del comitato scientifico hanno dato le dimissioni. Ancora più discutibile la scelta di chiedere in prestito una quarantina di opere da collezioni private pur avendo i depositi straripanti di meraviglie. L’accusa, nemmeno troppo infondata, è di eccessivo personalismo: un museo come la Galleria Nazionale non è solo di chi lo dirige, di chi ci lavora o degli addetti ai lavori, dovrebbe piuttosto aspirare ad essere un po’ di tutti quelli che ancora non lo conoscono.
Written by Chiara Ciolfi