Quella del doppio è una tematica piuttosto accattivante per un artista. Il doppio è stato spesso sviluppato attraverso simboli e significati diversi dove emerge l’idea di ripetizione, di gemello, di copia o di scambio. Oppure l’idea di rapporto tra due entità, altro tema interessante. E molto filosofico. Basti pensare all’ “uomo della caverna” platoniano: già da qui la domanda sull’esistenza del reale era scottante. E Allieri, passato quasi un anno dalla sua mostra Résonance, ha deciso di intraprendere questo percorso, dettato da ispirazioni e studi che ancora dai tempi dell’accademia lo interrogano, in particolare dalle letture filosofiche di Deleuze e Dibi-Huberman, che oggi continua a leggere e ri-leggere. Ecco che il tema della copia si ripropone aggiungendo materiale rispetto al percorso di un anno fa, e capovolgendo verità: che sia la copia l’oggetto reale? Chi ha deciso che originale e derivato non siano uguali? Significherebbe mentire – mi chiedo -, o restituire un significato unico a quella che è nata originariamente come copia? Perché la copia, non essendo l’originale, avrà sempre qualcosa di diverso: un dettaglio, un’ombra, un minuzioso difetto (o pregio), come sostiene Allieri. Questa tematica affatto semplice è affrontata in Duet, con la curatela di Daniele Perra, attraverso un corpo di lavori strutturato su diversi media come la fotografia, il disegno a pastello, sculture e due teche vuote, timbro estetico dell’artista. «Il doppio è anche confronto, contrapposizione, contrasto, conflitto: vuoto / pieno, liquido / solido, luce / oscurità, bianco / nero, positivo / negativo, vita / morte», scrive Perra nel testo critico, indicando il vuoto e il pieno, il positivo e il negativo, come necessari riscontri delle opere di Allieri. Ogni opera in mostra è infatti accompagnata dal gemello, o dal suo “negativo”: due fotografie che, viste da lontano, hanno un’apparenza pittorica; due disegni a pastello su carta che raffigurano dei raggi, un’esplosione di verde; due aste in legno verniciato di nero; due piccoli piedistalli… e così via. Anche la matrice iniziale della mostra, la prima opera, è costituita da un doppio: due grandi teche in vetro – alte circa 1,90 m – che dialogano a specchio e che, a un primo sguardo, si potrebbero rappresentare un’unica opera. Un unicum dal quale parte tutto.
Written by Rossella Farinotti