Quando parlate di musica con qualcuno potete distinguere due diversi tipi umani. C’è “Zinzi” (chiamiamolo così), che ti espone benissimo l’importanza storica e sociologica di un gruppo, perché era il primo di quel genere e tutti gli altri lo hanno copiato, ma la gente non lo sa. Se vai oltre l’eccessiva ricorrenza del termine “seminale”, la spiegazione è convincente e interessante, ma poi quell’album te lo vai a sentire? Solitamente no. Tanto meno andresti a un concerto: bella l’idea, ma non da spenderci una serata. Poi c’è Bertoncelli (chiamiamolo così) che quando parla di un album che gli piace si agita e comincia a gesticolare dicendo «È tipo le piramidi nello spazio, ma HD! Non anni 70, capito?». Anche se non ci capisci nulla, ti segni il nome del suo gruppo (si chiamano Rainbow Island) e ti vai a sentire qualcosa. Dopo un po’ capiti anche al concerto e parli col gruppo per farti un po’ di ordine in testa. Cosa fate: elettronica, dub? I Rainbow Island vorrebbero risponderti in quei termini, ma non riescono. La loro spiegazione logica comprende una dimensione parallela, totem a forma di Gombo e aracnidi Ultra HD. Non ti stanno intortando: pensavano proprio a quello quando hanno scritto i pezzi. Ora hai davanti il portale, cosa fai? Cataloghi il tutto come un po’ troppo mattacchione e torni a sentirti i gruppi di Zinzi? Oppure lasci al guardaroba quel pezzo di cervello che costruisce i generi e le definizioni e ti tuffi nella Dimensione Arcipelago con un bel bicchiere di 8 Yap, verso l’Isola dell’Arcobaleno?
Written by Dottor Pira