Silvano è figlio del Ratanà, ma ne è l’espressione verace e trattora, con bancone popolare e a NoLo, proprio all’angolo di Piazza Morbegno dove termina l’1 e tutto in affaccio vetrinato sulla strada. Basta nominarlo per avere l’impressione di avere a che fare con un oste al bancone, cosa che a tutti gli effetti è la sensazione di Silvano, dove ti viene da chiamare con graziosa voce sonante bariste e baristi per un’ottima bottiglia di vino o un ancor miglior drink a ricetta segreta ma che somiglia un po’ a un Negroni e un po’ a qualche cos’altro, ma che lascia colpi e coiti decisi, soprattutto se affiancato a quella tartare di manzo con salsa ajoli e acciughe che ha il gusto della divina ambrosia, per non parlare poi di quel piatto impensabile che assaggiammo una volta: trippa, cozze e pecorino, sempre in odore di santità.
Insomma la sensazione desiderata è quella della cadregata, del pasto di nonna o da osteria tutti accrocchiati assieme su seggiole di legno, tavoli di legno e banconi di legno, con l’idea che uno possa mettersi a cantare da un momento all’altro.
Particolarità da raccontare del Silvano è che la santa e verace e ricercata cucina produce delizie da un semplice e grande forno. Nessun fornello, niente di niente se non un forno. Ragion per cui il pane è Dio. Nel senso che è sfacciatamente buono. Buono con il vitello tonnato, col ragù, il paté di fegatini, il crudo di pesce, i fagioli con le cipolle, le sarde beccafico.