Racconta Italo Calvino – traduttore del romanzo “I fiori blu” (Gallimard, 1965) – che quando chiese all’autore Raymond Queneau di spiegare l’origine del titolo lui gli rispose che in francese l’espressione indica ironicamente le persone romantiche, idealiste e nostalgiche, d’una purezza perduta.
Ecco, noi non sappiamo se questo richiamo al libro sia voluto ed esplicito, ma ci sembra un bel modo di parlare dell’enoteca Ai Fiori Blu. I modi gentili e garbati dei tre titolari Francesca, Elisa e Daniele (rappresentati appunto dai tre fiori dell’insegna) rientrano sicuramente in quell’immaginario un po’ trasognato che l’immagine evoca. Così anche la cucina di Francesca Lecchi, che come una languida carezza accompagna il palato dei bevitori di vini naturali che qui si rintanano.
La voglia di levarsi una scarpa, tra un sorso di pinot noir e un altro di crémant, è davvero irresistibile.
Bella carta dei vini e ambienti da bistrot fancy del Midi francese – notare le annotazioni a pennarello bianco sulla specchiera. I piatti da osteria ci tengono a rivendicare l’anima popolare del luogo, anche se inevitabilmente il font del menù si riallinea immediatamente all’estetica hipster della clientela occasionale. Nonostante ciò il clima è davvero confortevole, tanto che ci si dimentica di essere in un locale e la voglia di levarsi una scarpa, tra un sorso di pinot noir e un altro di crémant, è davvero irresistibile.