Mi viene in mente quel “piccolo” refuso dell’antropologia di stampo lombrosiano, per cui si stabiliva l’indole criminale di un individuo sulla base delle misure del cranio e delle deficienze occipitali. Qualche anno dopo la morte di Lombroso, per volere del ministro Rocco, venne istituito un museo per raccogliere sia oggetti appartenuti a criminali, sia strumenti investigativi e punitivi. Una Wunderkammer del male, un monito per la comunità tutta. La prima sede (1931) fu la prigione seicentesca delle Carceri Nuove, in via Giulia; poi, nel 1975, il museo fu trasferito nel Palazzo del Gonfalone. Tre piani, ciascuno con una sezione. Il primo è dedicato alle torture: la gogna, l’ascia per la decapitazione, la “spada di giustizia” (101 cm di saggezza…), la vergine di Norimberga e la “divisa” di Mastro Titta. Poi c’è la sezione ottocentesca con il cranio di Giuseppe Villella, sul quale lavorò proprio Lombroso, e la pistola dell’anarchico Gaetano Bresci. Infine, ci sono i casi che nel Novecento hanno tinto di nero le cronache: dalle pistole di “Pupetta” Maresca agli strumenti da brivido della saponificatrice di Correggio. Squartarne uno per educarne cento.
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Museo Criminologico
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