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Addict Ameba: il track by track di ‘Panamor’

Partenza da Casoretto destinazione resto del mondo in sella al suono multiforme del collettivo milanese

quartiere Casoretto

Written by Chiara Colli il 9 July 2020
Aggiornato il 20 November 2021

Prove tecniche di “riunione della Pangea” nel nord est di Milano. Praticamente l’ambizione più folle e attuale che un essere umano possa avere in tempi di porti e cervelli chiusi. Una Pangea emblematica, culturale e moderna, lungo quella che oggi è, probabilmente, l’unica direttrice (oltre alle navi cargo, gli aerei e la finanza) con il potere di far convergere percorsi, tradizioni e orizzonti diversi in un flusso di idee eterogeneo eppure armonico, in sinergia e apertura tanto con il proprio territorio quanto con terre lontane nel mondo. Quella direttrice costantemente aperta alla trasformazione e alla contaminazione è la musica, e gli esseri umani folli in questione sono i dieci musicisti che compongono gli Addict Ameba, collettivo milanese con cuore e orecchie spalancate verso le musiche dal mondo, ma pure un’intensa attività sul territorio di appartenenza (fisica), Casoretto, a Nord Est di Milano. Un’attività legata anche al DNA eterogeneo del gruppo, con musicisti provenienti da esperienze diverse, dalla band milanese di jazz e psichedelia astrale Al Doum & The Faryds alle serate Maskenada e Carte Blanche, fino alle sonorità black e world ospitate dal Biko e la collaborazione con veri tambores latini. Dopo qualche anno di attività e di live (tra cui un set coloratissimo e festante a ZUMA di un paio di anni fa), il groove irresistibile degli Addict Ameba prende forma nel primo album, licenziato dalla beneamata Black Sweat Records, programmaticamente intitolato “Panamor”: un neologismo che testimonia l’unione profonda tra esseri viventi in un mondo sempre più diviso.

Tutt’altro che vezzo esotico o trend del momento, l’interesse degli Addict Ameba per quella che, per comodità, chiameremo “world music” è il tentativo di approfondimento e restituzione di realtà prossime ma poco conosciute e “Panamor” un concentrato di significati in cui individuo ed ecosistema – il mondo, ma anche una sua versione in scala come la città – si relazionano in maniera simbiotica, inclusiva e multietnica. Tradizione tuareg, rotte psichedeliche, ritmi etiopi e salsa cubana, echi di cumbia, beat dai Balcani e flamenco andaluso, poliritmi jazz e calypso esplodono nel senso di festa e comunione del collettivo, creando nuove connessioni concrete e visionarie tra territorio, quartiere e resto del mondo. «Il Casoretto è un quartiere a forma di casa, incastrato tra Loreto, i binari di Lambrate, via Padova e Purple Street, volgarmente detta via Porpora», raccontano. «All’ombra dell’abbazia quattrocentesca, che rappresenta l’epicentro del Barrio, è successo di tutto: dai covi dei brigatisti al primo Leoncavallo, passando per l’assassinio fascista di Fausto e Iaio e la mitologica cricca di picchiatori raccontata ne “La banda Bellini” di Marco Philopat. Una buona metà del gruppo vive qui e bazzica tra il birrificio Lambrate e il Guscio, dove nascono i nostri pezzi; uno di noi sta provando a riaprire il cinema di quartiere, che si chiamerà Nuovo Cinema Casoretto! Le vie del Barrio sono in buona parte intitolate a musicisti, le abitazioni sono mediamente di pochi piani, il che ci permette di godere di un po’ di cielo. Come pensare senza un orizzonte in cui perdersi? La collinetta del Lambro è uno dei pochi luoghi che offrono un panorama su Milano. Lì organizzeremo una caccia al tesoro il 17 luglio! Noi amebe dipendenti suoniamo strumenti anziché clacson, cerchiamo la natura nel cemento; per questo calpestiamo il meno possibile i marciapiedi che ci hanno visto crescere e cerchiamo i prati, da piazza Leonardo al Trotter, passando per le aiuole di piazza Aspromonte e Durante, dove affiggeremo su un totem la poesia letta in “Panorama”. Venite a cercarci lungo Purple St. che, con i suoi tram e i tramonti infuocati sembra quasi San Francisco».

In occasione dell’uscita di “Panamor”, abbiamo chiesto al collettivo di raccontarci le storie e gli orizzonti che hanno dato vita ai suoi brani, che vi facciamo ascoltare in anteprima. Ognuno è accompagnato da un video animato, realizzato – insieme all’artwork del disco – da Davide Disimino, ad eccezione di “Souvlaki” – opera dell’artista Simone Brillarelli. Buon ascolto e buon viaggio.

 

 

LES ITALIENS
“Italiani brava gente”, recita l’adagio, inconsciamente introiettato nelle coscienze dormienti del Bel Paese. Noi e tanti altri ci opponiamo al revisionismo storico. Per fortuna sembra che ultimamente l’opinione pubblica si interroghi sul nostro sanguinoso e rimosso passato coloniale. “Les Italiens” è per i partigiani etiopi che combatterono per primi il fascismo, per le seconde generazioni che cambieranno l’Italia e la nostra città, dove è facile ascoltare musicisti del centro-sud America, sentire l’afrobeat dalla bicicletta di un rider, mentre i rapper latini rimano, dei ragazzini pompano trap francese e le coetanee impazziscono per il pop coreano. Siamo il risultato di questa Pangea sonora.

PANAMOR
La seconda traccia non sarebbe nata senza Melvin Alfaro e Kevin Alexander, musicisti salvadoregni conosciuti al parco Lambro, compagni di buona parte dell’erranza. La salsa nacque a New York nei Sessanta da un crogiolo di culture centroamericane; noi l’abbiamo interpretata aggiungendo echi di cumbia e altre influenze; non a caso Rumore ci ha etichettati nella sfera patchanka, il multi-genere furioso di Manu Chao o dei Clash di Sandinista. Il titolo e il cantato riprendono il nome del disco, un neologismo che indica un’unione profonda tra esseri umani in un mondo sempre più diviso. La voce radiofonica all’inizio è di Jairo Paba, da Barranquilla, Colombia.

SOUVLAKI
“Meglio camminare senza sapere dove che stare seduti senza fare niente. La casa è la tomba della vita; vasta è la dimora del viaggiatore” recita un proverbio tamasheq, tradotto da un amico tuareg del Mali. Influenzato da queste suggestioni, il Lorenz ha creato in maniera inedita il riff che sostiene il brano; per la prima volta il nostro chitarrista ha composto un brano camminando e non in una stanza del Guscio, il magico studio al Casoretto dove abbiamo registrato il disco. Questo pezzo, con le sue influenze dal deserto, è anche un omaggio al Mare Nostro, che ha sempre connesso suoni e culture. “Quando il Mediterraneo era una realtà, né l’Europa né l’Africa esistevano”.

LAGRIMA DE NOVIA
Fine festa. Due di notte. Due note di tromba suggellano il pianto della sposa che, sola, piange lacrime amare per la cerimonia infranta. Che errore invitare le amebe dipendenti al matrimonio, che errore quell’open bar! Il grande inizio sembra ora l’addio più rovinoso. Alla tromba si aggiungono sax e trombone e il canto solitario diventa un coro d’ottone che urla al vento un motivo ipnotico dai tratti ethio-jazz. Così il vento pellegrino fa il suo giro, irrompe nel proscenio una chitarra flamenco che ci porta in Andalusia. Tra le grotte tzigane di Granada scopriamo una nuova Arcadia dell’animo dove bellezza e dolore si mischiano in un melange senza via d’uscita. Non poteva andare meglio.

PANORAMA
La musica è forse l’unica direttrice che unisce i continenti e gli esseri umani, oltre alle navi cargo, la finanza, gli aeroplani o la rete satellitare. Idealmente noi Addict Ameba siamo delle balene che vagano negli oceani, captano suoni dalle coste, dalle bande che suonano sulle crociere, poi li mixiamo e cantiamo. Mentre tutto va a fondo cantiamo, come Damon Arabsolgar (Mombao, Pashmak), che nella canzone inedita “Whale Fall” racconta di come le balene, quando muoiono, precipitino nel fondale, dove la loro carcassa dà vita a un ecosistema. Il testo spoken word di Paolo Cerruto, una specie di proclama in versi, contiene rime, immagini, strofe per la catastrofe del presente.

LA FURIOSA
La balena nomade nuota a est, verso l’Adriatico; in questo brano, composto dal bassista Davide Boselli, riecheggia il Balkan beat, genere che fa la sponda fra i Balcani e i club berlinesi dei Novanta. Il moto incalzante e l’atmosfera chiassosa ricordano le grandi baraonde serbe di Guča, città a sud di Belgrado, dove dal 1961, in agosto, si riuniscono le migliori – e le peggiori – trombe dei Balcani e la valle è tenuta sveglia dal furore ininterrotto degli ottoni e da ettolitri di rakija autoprodotta. Il pezzo oscilla tra pause e rapidi riattacchi, sostenuti dalla batteria caraibica di Samuele Albani. L’immagine: una gispy band ubriaca che scappa su un furgone, mentre l’autoradio sputa musica merengue.

Tutti i pezzi sono registrati, prodotti e mixati da Lorenz nel 2019 al Guscio studio, Milano. Gli Addict Ameba sono: Samuele Albani, Davide Boselli, Alex Cayuela Castilla, Paolo Cerruto, Francesco Criscione, Edoardo Leveratto, Il Lorenz, Beatrice Montinaro, Antonio Paciello, Niccolò Pozzi.