Agli albori del Campus Bovisa, alla metà degli anni Novanta, non si sapeva quali dipartimenti ci sarebbero stati o dove sarebbero andati. Quella distinzione tra La Masa – ingegneria – e Durando – Design – non era ancora ben chiara. Fu in quel momento che gli Scilla e Cariddi del Campus scelsero le loro sedi, dando il via a quegli smottamenti energici di pensiero che hanno ripiantato i semi della sperimentazione nella Bovisa. Parliamo dei laboratori sperimentali che si nascondono al di qui e al di là della Stazione. Parliamo del futuro, della ricerca, dello stupore di laboratori con nomi pazzeschi ed epici, che fa della Bovisa, a tutti gli effetti, un Parco Giochi del Futuro, un Parco Tecnico figlio di quell’idea di una “Città della Scienza e della Tecnica” che da almeno trent’anni rimbomba nei pensieri del Politecnico di Milano.
Due furono i laboratori che ebbero il privilegio di scegliere in anticipo le proprie sedi: la Camera del Vento e il LaST – dove eseguono i crash test. Davanti alla planimetria, inconsapevoli delle suddivisioni, il Vento scelse La Masa e il Crash Durando, dove un lungo edificio a campata unica di 120m – luogo in cui la Ceretti & Tanfani annodava i cavi d’acciaio per le sue seggiovie – si prestava a dir poco bene per le simulazioni d’impatto. Il secondo si trovò così abbandonato tra i risvoltini sui pantaloni e le frangette, invisibile agli occhi dei designer.
Non guarderete mai più un gabbiano con la stessa innocenza.
Da lì, da quella prima suddivisione, arrivarono il dipartimento di energia con la Camera Anecoica, il laboratorio di propulsione aerospaziale, quello di ingegneria ferroviaria, di realtà aumentata, fino al simulatore di guida tra i più avanzati al mondo e tanti, tantissimi altri. Ne abbiamo scelti quattro: i più spettacolari, i più celebri, i più iconici per darvi il benvenuti al Tecno Park della Bovisa. Cominciamo proprio con gli Scilla e Cariddi.
Galleria del Vento
La Galleria del Vento si trova dove deve stare, al Campus La Masa. Un grande edificio su più piani, dove le camere sono ben due, ma legate l’una all’altra a doppio filo. Nel piano più alto, una grande stanza azzurra dal pavimento grigio, la scritta Politecnico che troneggia su una parete, e in fondo una griglia metallica. Da lì soffia un venticello che raggiunge i 60km/h. Qui si sperimentano modelli in scala per strutture disumane: ponti, pale eoliche, sistemi di misurazione nel modello orografico di Hong Kong. Qui vi si scompigliano i capelli e non vola via nessuno. Al contrario, sotto, nella piccola camera del vento, si potrebbe sperimentare un vento a 250km/h. Rossa e blu, con ventole smisurate, come nei migliori film di fantascienza. Qui ci hanno provato ciclisti, il modello dell’Al Janoub Stadium di Zaha Hadid in Qatar, i grattacieli di Piazza Gae Aulenti o i torracchioni verdeggianti di Boeri, ma anche droni di tutti i tipi.
LaST
Nome chiaramente infelice se pensato in ambienti anglofoni e nel resto del mondo non italico, il laboratorio di sicurezza passiva dei trasporti fa quello che dice: cercare di minimizzare il rischio lesioni, perché annullarle proprio non si può, e innanzitutto perché, come dicono gli ingegneri, il corpo umano è purtroppo poco ingegnerizzato, decisamente poco tecnico. Ed è vero: basta un impatto a bassa entità di un maglio a meno di 5km/h sulla fronte e ciao ciao. Ce l’hanno fatto vedere in una simulazione. Giusto per ricordarci che se Mamma ho perso l’aereo fosse vero, Kevin sarebbe in carcere per stragismo. Se vi stiamo dicendo questo, è perché al LaST avviene quello spettacolo incredibile, ballardiano e violento, che sono i crash test. Sì, ci schiantano le macchine. Da corsa, da Formula 1, carrelli d’elicotteri, sperimentano sedili, plance d’aereo che cadono per terra e nell’acqua, lanciano motorini e biciclette in dinamica libera, alias: vediamo dove finiscono. Tutto registrato pornograficamente a 2000fps, dove vedi lo schizzo di un musetto in carbonio fracassato conto un muro d’acciaio. Per rendervi l’idea, si tratta dell’unico laboratorio al mondo, assieme ad altri cinque americani, le cui simulazioni numeriche sono accettate senza riprova fisica. Qui la strumentazione è perlopiù autoprogettata. La slitta gialla-pericolo che conduce allo schianto gli oggetti è mossa da un cannone ad aria compressa, che per farvi capire è lo stesso meccanismo con cui le portaerei accelerano i caccia per fagli prendere il volo. La descrizione è: fischio e schianto, in meno di un secondo. Gli eroi del laboratorio sono, ovviamente, i manichini. Indossano magliette brandizzate Politecnico, e pochi sanno che sono tarati sulla medianità del militare americano dell’aeronautica a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta. Pelle e metallo, circuiti e sensori, sono i cuori dell’entità più maltrattata negli ultimi sessant’anni dalla scienza. Per chiudere, c’è una sezione dove sparano – sempre con un cannone ad aria compressa – gelatina balistica contro cose. È una simulazione dell’impatto di uccelli sugli aeromobili. Li bucano. Ogni tanto. Non guarderete mai più un gabbiano con la stessa innocenza.
DIM400
Dal nome di chiara derivazione kubrikiana l’HAL 9000 del Politecnico è il simulatore di guida meccanicamente più avanzato al mondo. Lo sappiamo perché lo dicono loro, ma anche perché ce l’hanno fatto provare. Parliamo di una vecchia Opel Corsa opportunamente sacrificata all’altare della virtualità. Transustanziata in abitacolo di guida, simulacro del VR. La ragione della sua notorietà è il sistema di movimento: quattro cavi d’acciaio dal diametro di circa 5cm e quattro più piccoli trainano il tutto su una piattaforma metallica, la sballottano, la trascinano, la frenano, la fanno curvare. Il segreto dei movimenti improvvisi è che DIM400 è un po’ come l’autoscontro: scivola sul metallo, sollevato di due decimi di millimetri. Levita, letteralmente. L’abitacolo dell’Opel si erge sopra un plinto che può inclinare a sua volta il mezzo in tutte le direzioni, aumentando così l’inganno del sistema vestibolare, alias: farti credere che stai accelerando quando non è vero, che stai facendo una curva a gomito quando non è vero, che stai affrontando una sterrata quando è metallo liscissimo, che ti stai muovendo a 120km/h quando mal che vada stai andando a qualche centimetro all’ora. Tutto qui è fatto per fregare i sensi, anche i sedili: si gonfiano per simulare le pieghe e le cinture ti schiacciano se freni. In tutto ciò, l’abitacolo è circondato da uno schermo immersivo a 270°. Autostrade, scenari urbani, cittadine nel mondo. Sembra di stare in GTA, e invece è DIM400. Il luogo in cui si sperimentano modelli alfanumerici di automobili e tutto ciò che le concerne oggi: sistemi di guida ATAS, pneumatici, freni, pilota automatico. A provarli sono i chiunque, come noi, ma attenzione, perché pare sia necessario avere un certo storico di esperienza videoludica, pena: sensazione nauseabonda per poco allenamento del sistema vestibolare, alias a ogni curva giusto un poco stretta vi sembra che il corpo vada da una parte e ciò che si vede dall’altra.
La gabbia di Godzilla
Non è il nome ufficiale, ma quello con cui gli altri laboratori chiamano il Railway Engineering Lab. Cominciamo così giusto per darvi l’idea. L’idea che qua dentro Godzilla possa essere incatenato e non muoversi mai più. Godzilla, che vince anche contro Kin King. Godzilla, che è nato da una lucertola gigante coperta di radiazioni nucleari. Godzilla, che sfonda pressoché ogni fuoco e lancia pure raggi al plasma dalle fauci. Questa è l’immagine con cui tutti gli altri dipartimenti descrivono il laboratorio in cui vengono testati i carrelli ferroviari. Veri, non in scala. Sono ovviamente chiusi in una gabbia enorme, colma di pistoni idraulici che spingono ovunque. Qui si sperimenta il tempo, l’effetto del tempo. Si fanno invecchiare precocemente gli oggetti e i materiali, pare crudele – mai quando i manichini del LaST – ma portano i carrelli a distruggersi, simulando qualcosa come 40 anni di servizio in qualche mese. Per farvi capire, dentro alla gabbia, su una piattaforma, c’è un carrello ferroviario. Nuovo di pacca, scintillante, magari un prototipo. Ogni cosa attorno al carrello è pensata per sollecitare ogni sforzo possibile: accelerazione, trotto dei binari, spinte laterali, pressioni, tutto, tutto insieme. Pressione esercitata ovunque. Ininterrottamente per mesi, immaginate: i pistoni, thth-thth-thth, costantemente per mesi. A una certa, ovviamente, finisce. Che ne esca vincitore o meno, il carrello ha superato la prova della gabbia di Godzilla.
Ci sono poi la Camera Anecoica, i Laboratori di Propulsione Aerospaziale, di Automazione, insomma: le tante casa della futura Città della Scienza e della Tecnica.