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Comincia il Sónar a Lisbona

Arriviamo sull'orlo del baratro, ma perché abbiamo deciso di andarci all'ultimo: dall'8 al 10 torna il Sónar

Written by Giacomo Prudenzio il 8 April 2022

Passato l’oscurantismo tecnologico dei due anni passati possiamo finalmente ricominciare a vedere una qualche luce. Una luce abbagliante, stroboscopica, luce che si spalma come il burro sulle fette di pane raffermo al mattino, che cola come un dito dopo aver immerso una mano in un barattolo di mad honey, il miele allucinogeno gelosamente custodito dalle api himalayane a duemila e cinquecento metri d’altezza, insomma: quella luce per cui non si può non mettere gli occhiali la notte.

Prepararsi: torna finalmente il Sónar, domani comincia e dura fino al 10. Se non ve l’abbiamo detto è perché i biglietti sono finiti in un attimo e per pura fortuna ne abbiamo trovati un paio. Andremo a Lisbona, nell’edizione primaverile che anticipa quella catalana di qualche mese.

La line-up giustifica la storiella del miele e l’eccitazione turbolenta che come al solito muove fianchi e moltiplica i neuroni: vedremo ARCA e ci proietteremo verso uno scenario indurito dalle ibridazioni tra l’estetica sinologica e il silicio cyberpunk, in fluttuazioni fisiologiche e di rappresentazioni che sbriciolano il genere – roba che ad alcuni fa pronunciare frasi intelligenti del tipo: qual’è la differenza tra la performance e la vita? La vita è performativa, gringo!, per poi ricadere nell’oblio dell’ordinario. Almeno finché un’accelerata di bpm non simula un infarto: è la regina dei festival, l’oscura, la martellante, l’ossessiva Charlotte de Witte. Set tachicardico da oblio pessimista, che d’altronde è un po’ lo spirito del nostro tempo, e che attanaglia lo sguardo pure quando si posa sulle camice inamidate e sclerotiche di Dixon; si sa che potrebbe tirare notte, mattino e ancora notte e tutto con un aplomb impeccabile, concentrato sui piatti. Lo si segue, ci si perde e a una certa si viene sbalzati all’indietro: è un passo nel passato riottoso di laser e asfalto con Stingray, sommo celebrante della scena techno della Detroit dei primi Novanta: ritmiche hardcore tribalizzate dalla storia, sberle dure e veloci inframmezzate dai beat della West Coast e di Miami, e come se non bastasse un Richie Hawtin che massimizza le critiche di un ingenuo Stockhausen nei suoi tuh-tuh-DUM in reiterazione psichica, che dai piedi salgono a smottare sinapsi come i bambini sul calinculo.

Potremmo andare avanti all’infinito: Bicep, Thundercat, Leon Vynehall, Polo & Pan, Nigga Fox, The Blaze, Nina Kraviz, Honey Dijon, Nídia…

Per chi vuole prendersi una pausa per non ingolfare la struttura sinaptica c’è il Sónar+D: programma di reset con conferenze, incontri, dibattiti ed esperienze immersive che come sempre mescolano scienza, tecnologia ed espressioni artistiche. E anche i qui i nomi sono quelli del valhalla: artisti e ricercatori folli come Trevor Paglen o i Forensic Architecture.

Insomma, quando si parla di Sónar si parla di cultura. Ampia, allucinata, intellettuale, tipo un PhD ma più divertente.