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FICO, la Disneyworld del cibo raccontata dal principio

Abbiamo visto in anteprima a Bologna il più grande parco agro-alimentare del mondo ed ecco com'è e come potrebbe essere

Written by Salvatore Papa il 10 November 2017
Aggiornato il 18 February 2024

Come dice Oscar Farinetti, fondatore di Eataly e di FICO, “per raccontare il cibo bisogna farlo dall’inizio e non dalla fine, non dal prodotto”. Siamo assolutamente d’accordo, tant’è che per raccontare FICO partiremo proprio dall’inizio, ovvero il CAAB il Centro AgroAlimentare di Bologna, società consortile per l’80% del Comune di Bologna che contiene il mercato ortofrutticolo, magazzini per derivati surgelati e non, piattaforme logistiche coperte e protette, uffici e strutture di supporto.
Per arrivarci sarebbe interessante una bella passeggiata attraverso la città che pian piano digrada verso la periferia dei capannoni e delle grandi arterie stradali (ci provarono qualche tempo fa i Wu Ming) attraversando San Donato, il cavalcavia che porta alle case popolari del Pilastro, il centro commerciale Meraville e il nuovo Link, che venne spostato lì per non infastidire nessuno e lì langue. Il CAAB è proprio alla fine di questo percorso. Fanalino di coda tra le grandi infrastrutture commerciali bolognesi (Fiera, Centergross, Interporto) è sempre stato al centro di dibattiti e progetti falliti fino al 30 novembre 2014, giorno in cui Andrea Segrè, l’attuale presidente, presentò a Oscar Farinetti su mandato del Comune di Bologna (ovvero del Sindaco Virginio Merola) l’idea di farne una cittadella del cibo. Dopo soli quattro anni – un tempo record per gli standard italiani -, nel CAAB, nel nulla, ecco FICO Eataly World, Fabbrica Italiana Contadina, il più grande parco agro-alimentare del mondo, una “sublimazione” di Expo che rappresenterà l’Italia del mangiare e del bere nel mondo. Un enorme scommessa da 100 milioni di euro che vorrebbe attrarre 6 milioni di visitatori l’anno e per la quale è in progetto addirittura una linea di tram (l’unica a Bologna) dalla stazione. Insomma, questi ci credono davvero tanto, comprese le decine di ristoranti e imprese che lì dentro hanno già speso fior di quattrini. Ma andrà davvero come dicono?

Bologna, the city of food è lo slogan che la città sta provando ad esportare già da qualche anno. Una fissa, quella per il cibo, che ha prodotto una vera e propria bolla: nel solo centro storico c’è oggi un ristorante ogni 47 abitanti ma oltre la metà dei locali di nuova apertura chiude nel giro di 5 anni (dati di Confcommercio). Bologna la grassa è al momento obesa, e pure molto cara: mangiare fuori bene e a prezzi popolari è ormai davvero raro e alle famose tre T (torri, tette e tortellini) si sono aggiunte quelle di “turisti” e “truffe” con i primi che sono il boccone preferito delle nuove politiche di marketing dell’amministrazione comunale. FICO si inserisce perfettamente in questo contesto, una Disneyworld del cibo che – parole loro – porterà “soldi e tantissimi posti di lavoro” (qualcuno dice anche tantissimi studenti presi in prestito aggratis dalla cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”, ma questo lo capiremo meglio più in là).

Per dimostrarcelo, siamo stati invitati a “Prima voi”, una grande preview dedicata alla stampa in attesa dell’inaugurazione ufficiale del 15 novembre alla quale parteciperà anche il premier Gentiloni.

navetta fico

Su una navetta stracarica di pr, giornalisti e scrocconi raccolgo già le prime impressioni. Alcuni, arrivati in treno da Milano, si chiedono perché a Bologna e non lì, in una città più grande che ha già i numeri per il successo. E questo mi fa un po’ pensare che la “city of food” forse – o almeno per il momento – ce la raccontiamo solo dentro le mura. Altri, la maggior parte, sanno già che lì non ci torneranno più, se non invitati a mangiar gratis si intende. Un gruppo di toscane accanto a me resta, invece, fuori dalle analisi e parte in pole position con le “stories” di instagram.

Arrivato la prima cosa che noto è la quantità di messaggi testuali, slogan ovunque che nell’intenzione vorrebbero creare un racconto ma che fanno l’effetto della classica pubblicità che ti costringe a cambiare canale.

– scorri sulle foto per sfogliare le gallery –

Mentre il circo mediatico si raccoglie attorno alle prime dichiarazioni di Farinetti e qualcuno scatta selfie con Bastianich, chiamano il numero della mia visita guidata.

Con un gruppetto di una ventina di persone seguo un ragazzotto bolognese che con frasi brevi e d’effetto ci illustra le zone esterne, le aiuole con le piante aromatiche, il frutteto, gli strumenti provenienti dal Museo della civiltà contadina, ecc.

Partono i primi sbadigli e qualcuno, dopo appena 10 minuti, chiede dove sono le stalle. Tutti vogliono vedere le stalle e gli animali. Arriviamo alle stalle. In filodiffusione c’è Biagio Antonacci, ma nemmeno lui riesce ad intristirmi così tanto.

La struttura è semplice ed è quella del cibo spiegato dal principio: ad ogni stalla corrisponde in linea verticale una stanza di produzione e, infine, un ristorante/negozio. Quindi, davanti alla stalla dei maiali, per dirne una, si fa stagionare la coscia del maiale e nel negozio, infine, si vende il prosciutto.

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Tutto questo verrà spiegato poi anche alle scolaresche che, insieme ai consumatori finali, rappresentano l’altro target di FICO ed è qui che, attraverso visite guidate e laboratori, a molti studenti – e quindi a molti degli italiani del futuro – verrà insegnata la cultura del cibo. Nell’aspetto formativo rientrano, quindi, anche le cosiddette “giostre”, ambienti tematici e multimediali a gettone. A me è bastato conoscere Dorothy.

Entriamo così, finalmente, nel cuore della cittadella, ma alla prima degustazione lo stomaco si apre e il gruppo si scioglie richiamato dall’atavico bisogno di scroccare il più possibile (chissà cosa penserebbe Dorothy). Ed io punto subito alla pizza.

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Ma c’è davvero di tutto.

Tra le cose più interessanti:

– una cascata di cicocolato

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– una panchina a forma di molletta (non commestibile)

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– il minigolf

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Ci sono pure i campi di beach volley e addirittura un bagno romagnolo.

E un pianista che resiste ai fumi del pesce fritto.

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Ma è l’ora della conferenza nella sala congressi, quella dove ci si emoziona.

E ovviamente a tenere banco è lui, un fiume in piena di ottimismo (a un certo punto, invece di FICO, gli è pure scappato “Unieuro”).

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Mentre parla, e parla davvero bene, penso: caro Oscar spero davvero che sia come dici tu, che questa grande cosa con delle potenzialità enormi diventi una macchina da guerra che sforna soldi e soprattutto lavoro, e che sia lavoro ben retribuito e stabile. Ma dove li recuperi questi 6 milioni di visitatori? Perché a me vengono in mente solo quelli che ogni domenica vanno all’Ikea per fare un giro (e non sono mica così tanti) e al massimo gli stranieri pigri, tipo quelli delle crociere (e qui il mare non c’è). E perché mai uno dovrebbe preferire FICO al centro di Bologna, che tra l’altro è già abbastanza FICO di suo (proprio nel senso di Eataly eh!)? Tra l’altro, ho visto tantissima carne, e va bene visto che non sono vegetariano, ma mettiamo mi venisse l’idea di ritornarci con un mio amico vegetariano o vegano, cosa gli raccontiamo? Che il futuro è la carne? Da quello che leggo in giro pare proprio di no.
Insomma, io ho provato a partire dal principio, ma ancora non riesco a capire dove volete arrivare.

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