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I migliori film che abbiamo visto a Biografilm 2018

Il nostro personale best of del festival di cinema dedicato ai documentari e racconti di vita

Written by Matteo Cortesi il 26 June 2018

Le Complexe De Frankenstein
di Gilles Penso, Alexandre Poncet

Quando i film venivano proiettati in pellicola, il concetto di CGI ancora ben lontano dal materializzarsi, gli effetti speciali erano una questione di protesi, lattice, plasma a ettolitri, modelli in scala, infiniti schizzi preparatori, una serie di idee pilotate da teste in fiamme per infrangere ogni limite conosciuto. Tutto era possibile con i materiali giusti e il giusto stato mentale. Registi come John Carpenter, Joe Dante, Wes Craven, prima ancora John Landis del terrificante Lupo Mannaro Americano a Londra, poi John McTiernan del fondamentale Predator e soprattutto James Cameron (per molti versi il traghettatore verso la nuova era, Terminator 2 l’inizio della fine) erano i più grandi visionari; certo nulla sarebbe potuto accadere senza nomi come Rick Baker, Greg Nicotero della triade KNB, Phil Tippett, Chris Walas (per non dire il più grande di tutti: Rob Bottin, qui purtroppo presente solo in spirito). Per chi è cresciuto negli anni ’80 questi nomi erano il mondo, un mondo che iniziavo a pensare sopravvivesse soltanto dentro la mia testa; per chi nonostante il tempo ha continuato a intrattenere un rapporto analogico con la cosa, questo film è oro puro.

We The Animals
di Jeremiah Zagar

Tratto dal romanzo d’esordio di tale Justin Torres, la trasposizione filmica di Jeremiah Zagar (all’esordio in solitaria dopo un sacco di corti e documentari co-diretti assieme ad altri) è l’equivalente di The Tree of Life ma preso bene, con un millesimo del budget a disposizione di Malick, senza i grossi nomi e con una trama che fino a un certo momento è una trama; poi la mente inizia a vagare, le immagini diventano poco più di un suggerimento quando cominciano a succedere strani viaggioni punteggiati e veicolati da disegni a mano libera, fulminee apparizioni di sagome colorate con pastelli a cera che presto invadono ogni centimetro dello schermo. Quando scorrono i titoli di coda è come ritornare alla realtà, ma convinti di avere afferrato qualcosa in più del quadro generale: è un gran casino stare al mondo, ma a volte ne vale la pena. A volte, ha addirittura un senso.

We The Animals

Shut Up And Play The Piano
di Philipp Jedicke

Vita e opere di Jason Charles Beck in arte (Chilly) Gonzales, a dipendere da come gli gira rapper, performer, provocatore, agitatore culturale a Berlino – che sarebbe come dire operatore finanziario a Londra, ma con una convinzione e una forza di volontà che probabilmente mancano al 99.9% degli esseri umani – miglior soggetto possibile da intervistare, da circa tre lustri soprattutto pianista. Una versione ultrasemplificata di Debussy, un Satie per analfabeti che in qualche modo è riuscito a convincere la Filarmonica di Vienna. Oltre a essere il film più divertente intercettato a Biografilm 2018, Shut Up and Play the Piano è un’iniezione di convinzione e una lezione di autodeterminazione, qualunque sia il campo verso cui chiunque nutra un qualche tipo di velleità: mai mollare, mai smettere di crederci. Probabilmente Gonzales non ha niente da dire, ma da più di 20 anni sta continuando a dirlo molto bene, e per almeno altri 20 anni continuerà a farlo.

The Greenway Alphabet
di Saskia Boddeke

Peter Greenaway lo si ama o lo si detesta, comunque va preso in blocco: film più o meno riusciti, capolavori visuali da sindrome di Stendhal, insostenibili parate di genitali flaccidi, dialoghi che girano a vuoto, improvvise folgorazioni, noia nera, partiture di Michael Nyman mai altrettanto ispirato, scelte attoriali che vanno da Tim Roth a Brian Dennehy a Deborah Harry a Francesco Salvi più tutto quel che sta in mezzo, il pacchetto completo. Da un decennio abbondante sopporto Greenaway più che supportarlo, non importa: il credito di cui gode nella mia banca personale, considerando quanto sia stato capace di creare fino alla trilogia di Tulse Luper, è virtualmente illimitato. Realizzato dalla moglie nell’arco di due anni con protagonista la figlia, The Greenaway Alphabet funziona anche per i non introdotti: basta lasciar parlare l’uomo per finire ipnotizzati, la serie di immagini da incrinare le sinapsi anche a un cieco provvede al resto.

MATANGI / MAYA / M.I.A.
di Stephen Loveridge

Ritratto impietoso di una popstar con street credibility autoassegnata: un quarto mondo mai nemmeno intravisto, il ricollocamento a Londra, la convinzione di avere qualcosa da dire e i titoli per dirlo sulla base dell’etnia e un generale vago sentore di come vadano le cose nel mondo, diventare amici di persone importanti, comunque un flow che sa essere sciolto e accondiscendente quanto basta per entrare in testa e rimanerci il tempo necessario per farsi ricordare. Passano gli anni, si eleva il livello dello scontro: video sempre più truculenti realizzati da registi sempre più di grido (il figlio di Costa-Gavras, nella pratica il Jonas Akerlund degli incapaci), amicizie sempre più importanti – dalla cantante delle Elastica a Madonna il passo è breve – “provocazioni” sempre più di cartapesta (il dito medio al Superbowl), culto della personalità che la canzone dei Living Colour scompare al confronto. Tutto srotolato senza filtri e senza pudore, come diceva Ligabue, con il drink in mano e ‘sotto come va?’. Sinceramente perturbante.

Euthanizer
di Teemu Nikki

Aki Kaurismaki scansate, Euthanizer è la nuova pietra di paragone per quanto riguarda il cinema finnico: più cinismo, più cuore, più deadpan humour, più squallore umano, più sentore di vite buttate nel cesso, più riscatto, più empatia. Con poche parole e ancor meno espressioni facciali, in panorami che sono la morte di ogni immaginazione sotto un sole che non tramonta mai, Euthanizer fin dalla prima inquadratura trascina in un gorgo di personaggi e situazioni che più insostenibili non si potrebbe, solo per il gusto di lasciare la speranza, la fede, il terrificante bisogno di calore e amore in dosi da stendere un bisonte insinuarsi lentamente, subdolamente, poi esplodere come un veleno in esistenze irredimibili. Le Conseguenze dell’amore al confronto diventa una favoletta per turisti dell’umano. Vincitore personale di Biografilm 2018.