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La protesta dei lavoratori della cultura e il (breve) ritorno della W in via Rizzoli

Written by Salvatore Papa il 28 March 2024

Mercoledì 27 marzo, in occasione della giornata mondiale del teatro un gruppo di un centinaio di lavoratori e lavoratrici, artiste e artisti del mondo dello spettacolo dal vivo si sono ritrovati in via Rizzoli con l’intento di dichiarare “lo stato di disastro culturale del Paese”.

Ognuno ha portato un ceppo, un ramo, un bastone di legno, simbolo di un nuovo fuoco che vorrebbero provare ad accendere, di una rivendicazione collettiva e unitaria per fare e produrre arte e cultura in maniera libera in spazi non assoggettati alle volontà partitiche.

Tra questi anche la compagnia Kinkaleri con la W rimossa “senza nessun accordo e ragione plausibile” ormai quasi due anni fa da via Rizzoli e mai più rimessa al suo posto (e nel frattempo è scomparsa anche quella di via Ugo Bassi – per la storia delle W qui un nostro vecchio approfondimento).

Vogliamo tutt’altro! – urlano e scrivono. Vogliamo riprenderci lo spazio pubblico e partiamo dall’insegna della W rimossa dall’arroganza istituzionale. Vogliamo un sistema che produca più cultura e non solo burocrazia. Vogliamo continuare a sperimentare, avere il tempo e le economie per farlo. NO alla bulimia produttiva. Vogliamo che il tempo di studio e preparazione dei progetti venga considerato lavoro e per questo sostenuto economicamente. L’indennità di discontinuità è una presa in giro! Vogliamo una pensione dignitosa. Con 500 euro al mese non si vive! Vogliamo che i fondi per il contemporaneo e la ricerca vengano aumentati e non tagliati come sta succedendo. Vogliamo che i Teatri Nazionali siano realmente pubblici e che la direzione artistica sia condivisa da più soggetti e non da un MASCHIO solo al comando. Vogliamo demolire il sistema dei bandi, soprattutto di quelli a tema che appiattiscono la cultura di questo paese”.

«Questa – ci racconta Eva Geatti – è una chiamata nazionale che avrà due fulcri, uno a Roma e uno a Bologna. Tutto è partito dalla nomina di Luca De Fusco a direttore del Teatro di Roma, che è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso ormai colmo. Da lì è nato un percorso assembleare che anche a Bologna ha riunito moltissime persone ormai stanche di un sistema che marginalizza la ricerca e le richieste di libertà e toglie continuamente spazi e risorse. E questo succede, ovviamente, anche qui e in questa Regione, dove tutto è messo a bando e sottoposto a regole politiche che con la libertà della cultura non c’entrano nulla».

«La W è tornata nello spazio pubblico che le compete, dov’è stata per 15 anni – afferma Massimo Conti di Kinkaleri. La W raccoglie un po’ tutte le nostre attuali rivendicazioni, sin dalla sua nascita, dalla sua collocazione in modo arbitrario, e porta una modalità di libertà che era nata negli anni 90 e che poi è improvvisamente venuta meno, in termini proprio di possibilità d’azione. E quindi è simbolico il fatto che sia stata tolta da un’istituzione culturale che dovrebbe in realtà percepire che certi segnali hanno la loro importanza culturale e non meramente estetica. Perché un oggetto come questo può piacere o non piacere, però la sua importanza riguarda la sua storia. Una storia che parla di una cultura sotterranea che in qualche modo è quella che nutre tutti e che ora non trova magari riferimenti a livello istituzionale. Oggi la W è un simbolo di ripresa dello spazio pubblico».