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L’ora del tè coi fondatori di LOBO, Ormeye e DNN

Il sound UK, il Leoncavallo e la serata in arrivo con Bristol NormCore, con ospite d'eccezione Meg. Questa è la loro cup of tea

Written by Lorenzo Montefinese il 13 December 2023

L’era dei grandi club a Milano sembra sempre più lontana, complice la mazzata della pandemia. Gli spazi sociali non se la passano meglio, con la fine di un luogo come Macao che era diventato catalizzatore di un’importante scena musicale meneghina. La sensazione, oggi, è che il testimone sia passato dai locali ai collettivi, ai promoter e agli specifici party della città. Fra questi, un ruolo di primo piano ce l’ha senz’altro LOBO, principale serata milanese dedicata alle varie sfumature della bass music che da 11 anni attira appassionati e curiosi di ritmi sincopati, bassline massicce e breaks accelerati. Le menti dietro LOBO sono quelle di Marco (in arte Ormeye) e Daniele (DNN), ambasciatori del sound UK-centrico nelle notti milanesi. Alla luce dell’undicesimo compleanno, festeggiato recentemente al Leoncavallo, e in vista dell’appuntamento di sabato in collaborazione con Bristol NormCore, abbiamo incontrato i due fondatori per fare il punto su un decennio di LOBO e saperne di più sulla loro visione artistica. 

«too techno for the hip hop kids & too hip hop for the techno crowd». Riassume bene la nostra visione.

Raggiungo i ragazzi a casa di Marco a Milano sud, in un freddo pomeriggio di dicembre. Chiacchieriamo in salotto, mentre sorseggiamo un tè caldo. Con 11 anni insieme alle spalle, non posso che iniziare chiedendogli un recap del loro sodalizio artistico. Mi dicono che LOBO è nato “undici anni fa al Leoncavallo per volontà di Kenny – il barman titolare del Reverend – con l’idea di cominciare a portare un po’ di elettronica diversa da quella che c’era in quel momento in città, tra cui soprattutto house e techno berlinese. A noi piacevano anche altre cose, magari qualcosa più vicino all’hip hop, qualcosa più vicino ai suoni inglesi, garage o comunque techno un po’ più distorta”. Il collettivo iniziale era formato da Ormeye, DNN, Turbojazz e Pigro on Sofa, (oggi meglio conosciuto col moniker di Gabber Eleganza), Daemon Tapes, GRZ, e molti altri. Daniele suonava al Leoncavallo già prima di LOBO, spingendo jungle e bass music, ma anche “suoni più beats, wonky, downtempo”. Le affinità musicali li hanno spinti a metter su questo progetto, portando nomi tutelari di quella scena come Nosaj Thing, Tokimonsta e Ras G. “È iniziato così, alternando un po’. Nel senso che alcune date si faceva quella roba lì, alcune date si facevano degli ospiti un po’ più techno, passami il termine, tipo A Made Up Sound. Quindi non è techno, non è sicuramente hip hop, però comunque, come diciamo sempre, noi cerchiamo di unire i puntini dell’elettronica. È questa contaminazione, questa eterogeneità di stili pur sempre riconducibili ad una grande famiglia di sound diasporici, ad essere uno dei punti di forza di LOBO. In una grafica di un loro radio show c’è una felpa con scritto «too techno for the hip hop kids & too hip hop for the techno crowd», slogan che vale più di mille parole. “Quella era una maglia di Hudson Mohawke, riassume bene la nostra visione”.

Nato al Leoncavallo, LOBO ha scosso i dancefloor di altri luoghi della città – Macao, Santeria, vari club – ma, ci tengono a precisare, “la casa è sempre stata il Leoncavallo”. Dopo lo stop forzato dovuto al Covid, la ripresa post-pandemica li ha consolidati come hub principale per la bass music qui a Milano, invitando artisti che non capitano spesso dalle nostre parti. “Diciamo che è un grosso nostro limite, ma anche una grossa fortuna, che facciamo più o meno quello che ci piace, quindi non è che stiamo molto dietro a quello che succede”. Naturalmente, in quanto DJ e appassionati, si tengono aggiornati e diggano alla ricerca di nuova musica, ma in un certo senso, come dice Marco, “rischiamo anche abbastanza, a volte ci va bene, a volte un po’ meno”.
La libertà nella direzione artistica è un fattore che gli sta molto a cuore. “Facendo un lavoro dal lunedì al venerdì so che l’affitto e da mangiare in frigorifero li metti, quindi non devo vivere di quello. Le cose che faccio le faccio perché mi devono proprio piacere. Se dovessi vivere di quello, probabilmente farei delle scelte che mi porterebbero a fare più compromessi, fare artisti più di moda, in club fuori dal Leoncavallo. Però non è quello che ci interessa fare. Vogliamo spingere la cultura musicale che ci piace, e avendo il Leo come casa, che dal punto di vista artistico ci lascia libertà, ci sentiamo di fare davvero le cose che ci piacciono. Più di una volta hanno messo insieme artisti di diversa estrazione, forti anche della possibilità di spalmare le loro lineup su due, tre o quattro sale. “Mi piace quando una serata inizia in un modo e finisce in un altro. Quelle serate che iniziano a 123 e finiscono a 125 bpm o che iniziano a 160 e finiscono a 170 mi annoiano terribilmente”.

Negli spazi sociali facevi le robe che non ti facevano fare nei club. Oppure facevi tutte quelle cose per andare in culo ai club.

Dopo 11 anni di eventi al Leoncavallo, la sensazione è quella di sentirsi a casa nello spazio di Via Watteau, soprattutto per due come Marco e Daniele che vengono “da una scena musicale che è nata e cresciuta dentro gli spazi sociali. Magari nei primi 2000, negli anni ‘90, alcuni avevano l’urgenza di dire «ok nasco nel centro sociale, però voglio puntare al club». Noi questa urgenza ce l’abbiamo fino a un certo punto. Perché i club in Italia, e soprattutto a Milano, per una serie di regole, non permettono all’esperienza del clubber di compirsi come ce l’abbiamo in testa noi. Da utente, andare in alcuni club non è così piacevole”.
Finiamo quindi a parlare della situazione del clubbing e della vita notturna milanese, e ai cambiamenti cui hanno assistito in tutti questi anni (Daniele è nato e cresciuto a Milano, Marco ci si è trasferito da quasi vent’anni). Sono loro a farmi notare che prima c’erano “pochi attori forti, ora molti di più ma di dimensioni e portata ridotte”. Anche la situazione dei centri sociali è cambiata col tempo: prima negli spazi sociali facevi le robe che nei club non andavano, o comunque non ti facevano fare nei club. Oppure facevi le cose che andavano nei club, ma le facevi a un prezzo popolare. Oppure facevi tutte quelle cose per andare in culo ai club”. Adesso invece c’è un po’ ovunque una maggiore voglia di sperimentare e uscire da binari rigidi. Tuttavia, questa maggiore apertura si scontra con la carenza di spazi e la difficoltà nell’ottenerli.

Passiamo poi al loro legame con altre realtà su simili frequenze d’onda, da Secret Rave a La Notte, fino a Bristol NormCore con cui hanno curato il prossimo evento: “abbiamo legami con quelli che più affini a noi che fanno più o meno le robe che ci piacciono ma sono tutte cose molto estemporanee”, guidate dall’istinto e dalla passione comune. 

Chiedo di aneddoti e serate che ricordano in modo particolare. Daniele ricorda con l’entusiasmo del fan, prima ancora che del promoter, l’evento con il collettivo-etichetta londinese Rupture – in cui ha suonato pure Storm, first lady della drum’n’bass – mentre Marco cita l’evento con NVST (DJ e producer svizzera) e Ateq (affiliato al collettivo tedesco Giegling).

Infine, veniamo all’evento di questo sabato con Bristol NormCore: “eravamo affini, quindi ho detto «perché no, facciamo questa collaborazione!» La metà delle cose che suoniamo arriva da Bristol, quindi questa joint venture coi ragazzi è venuta in modo molto naturale”. Fra i nomi in lineup, spicca quello di Meg, senza dubbio l’artista più ‘pop’ che abbiano invitato finora. “Siamo tutti stati grandi fan di Meg, abbiamo scoperto che la cosa era reciproca e quindi siamo riusciti a combinare una data club per i live”. Marco mi assicura che le sonorità che porterà al Leoncavallo sono in perfetta sintonia con la loro proposta musicale, e la curiosità non può che essere alle stelle. Ma quello di Meg non sarà l’unico live della serata: ci sarà il ritorno esclusivo dei Ruffhouse, trio drum’n’bass bristoliano composto da Pessimist, Karim Maas e Vega; e lo stesso Marco presenterà il suo nuovo progetto live chiamato Lupo Mangiafrutta. Si tratta di un progetto a quattro mani con Mafalda, cantautrice napoletana: “ci divertiamo a mescolare tutte le nostre influenze, lei canta e suona la tastiera mentre io suono il basso, drum machines più altri effetti vari in giro”. Il resto della lineup non è da meno, con Katatonic Silentio, Odd Shy Guy, Rose Again, Kara, Bladeblanc, DNN & Kwality, Xian & Lark pronti ad incendiare la notte del Leoncavallo per questo ultimo appuntamento del 2023 targato LOBO.

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