Al di sotto della Stazione Centrale c’è tutta una realtà intestina, viscerale, nascosta, che vibra assieme al tremolio dei binari quando i Freccia sferragliano e i regionali ritardano, un mondo sotterraneo, un underworld, che ricorre soltanto nei luoghi abbastanza ampi e con un pieno di storie tale da avere carica energica, di eventi, capace di modellare luci e ombre nei loro paraggi.
Ma cos’è un underworld? È il lato suggestivo del “sottosopra” del mondo, quello che si vede nei riflessi, nelle simmetrie apparenti. Quando una cosa che succede da un lato produce un riflesso anche nell’altro, che lo si veda immediatamente o meno. Già qui abbiamo tirato fuori tutta una serie di reference cinematografiche e letterarie, due tra tutte il “sottosopra” di Stranger Things e ovviamente il capolavoro postmoderno di Underwolrd del vecchio De Lillo. A chiedersi il perché, risponderemo che le ragioni sono sempre le bestie e le contraddizioni, l’inatteso – buono o cattivo che sia – che sta sempre in agguato nel retrobottega delle cose. Da una parte i mostri energici di un mondo weird – decisamente in stile lovecraftiano – dall’altra quella struttura interpretativa del mondo che è il frottage delle teorie del complotto, delle discariche dei rifiuti, del marciume.
Un serpente di ferro e cemento, di pietra e asfalto, che si snoda per quasi due quartieri.
Ovviamente stiamo considerando di parlarvi degli spazi intestini del massicciato ferroviario. Questo è il nostro underworld della stazione, tra i magazzini raccordati, i sottopassi e ciò che accade lontano dalle nitidezze. Cominciamo dalle basi: per spiegare cosa siano i Magazzini Raccordati dovete immaginare uno spazio di servizio la cui dimensione è un riflesso dell’architettura della Stazione: monumentale. Il passo immediatamente successivo è rendervi un’idea delle dimensioni: parliamo di tutto il massicciato ferroviario che copre la distanza tra il sottopasso di via Lunigiana e sale fino a Rovereto da un lato e a Cassina de Pomm dall’altro, circa alla Martesana. Monumentale, dicevamo. Un serpente di ferro e cemento, di pietra e asfalto, che si snoda per quasi due quartieri. La ragione delle grandezze è semplice e ovvia. Nei Magazzini Raccordati si fermavano i treni, quelli in eccesso e quelli fermi, quelli da riparare e quelli che dovevano essere nascosti. Oltretutto, per tener fede all’etimologia di “magazzino”, qui si faceva stoccaggio della merce trasportata via treno ma lo si usava anche come spazio di distribuzione e vendita all’ingrosso – un mercato – che aveva in tutto e per tutto le caratteristiche del duty free, alias non si pagavano i dazi.
Bene, da poco c’è nell’aria un progetto di riqualificazione che respira un po’ quella competizione che da sempre Milano ha con le altre città d’Europa, con una certa immagine di metropoli viva, concitata, culturale, insomma come abbiamo detto altrove, cardiopatica. I Magazzini Raccordati dovrebbero in futuro diventare un luogo che mescola attività commerciali e servizi di interesse pubblico come biblioteche, spazi didattici ed espositivi, strizzando gli occhietti all’architettura e design. Diciamo che il prodromo di questa trasformazione si può forse vedere nel recente Mercato Centrale (anche se sta letteralmente a ridosso della Stazione), che ha già cominciato a rivalutare un po’ la zona – laddove con rivalutare indichiamo molto semplicemente una rinnovata sollecitazione a frequentare il quartiere all’ombra della Stazione, perché poi diciamocelo: non è mai stato i più frequentati – nel senso di stanziarci – della bella Milano.
Detto questo, l’underworld del Massicciato richiede anche di affrontare le questioni più spinose e sporche, quelle che riguardano gli spazi meno frequentati della zona, alias: i celebri sottopassi che tagliano i piedi della ferrovia, lasciando “aria” al transito isterico del traffico più denso della zona in viale Lunigiana e via Tonale.
Se da una parte l’hype per il recupero e l’integrazione nel tessuto urbano dei Magazzini Raccordati è sentito, dall’altra non è semplice parlarne e da dicembre sappiamo bene perché. La presenza dei senzatetto in Centrale non è una novità – in fondo non lo è per alcuna stazione – ma il fatto che si tratti di un luogo del calibro di Centrale rende la faccenda più complicata. Perché l’estetica, l’iconico, la rappresentazione di una città, del suo “Benvenuti” al capolinea, conta per l’opinione pubblica – nel bene e nel male. Sapete già dove andiamo a parare, e parlare di sgomberi non è mai piacevole, è sempre una soluzione estrema a un problema che forse richiederebbe di essere trattato in altre maniere, con attenzione e priorità diverse. Per dire, non come la “polvere sotto ai tappeti” (argomento che su altri toni avevamo riscontrato in Via Gola). Insomma, lo sgombero dei senzatetto nei sottopassi di via Zuccoli, Lunigiana e nel sottopasso Mortirolo ha ribadito da un lato come una certa idea di “decoro”, che riguarda più che un uso in sé degli spazi che una forma di rappresentazione della città, abbia – come al solito – parecchio a che vedere con quel modello della “città-vetrina” che perseguita le metropoli moderne: l’attitudine a un certo ordine, la piacevolezza di una certa lontananza dalle cose, di una certa pulizia che si dà nelle ‘esigenze’ del buongusto (con questo non vogliamo certo suggerire di lasciare gli spazi allo scatafascio, ecco, ma di riordinare le idee anche secondo le esigenze reali e sedare la fotta degli estestismi).
Centrale s’appresta a essere scoperchiata, aperta, portando luci elettriche nella notte costante della ferrovia.
Per fortuna poi c’è sempre chi si mobilita a riguardo, anche se troppo spesso in misura minore rispetto a quando si vorrebbe. Brigate volontarie di accoglienza, di sostegno, osservatori attenti e giornalisti sensibili. Inoltre, è giusto sapere che tempo fa alcuni spazi interni dei Magazzini a ridosso dei sottopassi erano anche adibiti a spazi d’accoglienza temporanei con il Progetto Arca, quanto meno per la notte, di sostengo e distribuzione di pasti e coperte.
Per rimanere sugli aspetti turpi dell’underworld di Centrale passiamo immediatamente allo spaccio, attività notoriamente serale, tra gli spazi ampi della Piazza gli angoli lungo il massicciato. A furia di parlare con i frequentatori del quartiere, con i centralisti della città, la realtà degli spaccini è di certo una delle più parlate. Sappiamo che ai lettori di Zero la droga fa un certo effetto, e magari ad altri meno. Qui dobbiamo dirvi però, più che di prezzi e spot, di come ci è stato raccontato che gli spaccini siano l’immagine dell’allerta, a loro volta delle strane specie di “spiriti tutelari” della piazza. Figure che possono essere descritte alla stregua di animali che sanno acquattarsi e osservare, e osservando riconoscono in ogni minimo movimento lo svolgimento e la chiusura di un’azione. In altre parole, gli spaccini sanno sempre quando i taccheggiatori cominciano ad attorniare la preda. Come un leone che guarda le iene. E così sguinzagliano le loro distrazioni, trappole per evitare che il passante sprovveduto e poco attento alla wild life di Centrale si ritrovi senza valige o senza orologi o qualunque cosa possano far sparire. Sarà perché la piazza nel tempo si fa voler bene, sarà per evitare altri problemi, ma chiunque la frequenti in un modo o nell’altro finisce per difenderla.
Insomma, il punto è che volenti o nolenti, e anche con una certa differenza rispetto alle maniere con cui si approccia l’underworld di Centrale, si sta cercando di portare alla luce gli spazi intestini e le situazioni che le abitano. Dal progetto ibrido-commerciale dei Magazzini Raccordati, all’arrivo di Mercato Centrale, accompagnati qua e là da questa idea di decoro che riassume tutto sommato quel carattere borghesotto che occupa almeno un buon pezzo del cuore di Milano e ne promette le immagini future, Centrale s’appresta a essere scoperchiata, aperta, portando luci elettriche nella notte costante della ferrovia.