Molti anni fa un mio amico mi disse che nell’aver interrato i corsi d’acqua, i milanesi avevano firmato un patto con il loro stesso immobilismo. Si intende con questa parola l’incapacità manifesta di realizzare il proprio percorso creativo e di quindi di consacrarsi al ricordo eterno. L’acqua dovrebbe scorrere e rivitalizzare l’ambiente circostante, mentre si trasforma in un torbido e scomodo bagaglio emotivo collaterale se rinchiusa sotto terra. Di fatto con l’acqua si potrebbe risolvere tutto, dicono gli omeopati.
Per capire cosa abbiano di speciale, andrebbe intanto osservato cosa avviene intorno e dentro l’acqua
Più o meno tanti tra coloro che conosco snobbano il quartiere, con lo stesso snobismo che avvolge talvolta i neologismi (“femminicidio”) o gli argomenti di cui parlano tutti (“palme in duomo”); quando mi chiedono perché mi sono trasferita qui se sono una persona adulta, rispondo la tiritera che non voglio finire in un angolo a morire di frustrazione torturandomi col trovare ogni scusa possibile per odiare tutti quelli che a differenza mia hanno avuto successo, in sintesi la mia definizione di immobilismo.
I Navigli piacciono ai bambini, ai provinciali, agli studenti fuorisede, alle persone che provengono da città più umide di Milano e in generale a coloro che non si sentono a disagio a farsi piacere le cose belle.
Per capire cosa abbiano di speciale, andrebbe intanto osservato cosa avviene intorno e dentro l’acqua, sempre per stare al passo con gli omeopati.
Per cominciare guarderei alla questione ambientale nel suo spettro faunistico verticale, da sopra il livello dell’acqua a sotto, poiché l’acqua attira a sé tutto un ecosistema di animali acquatici, volatili e piccoli mammiferi roditori.
Cominciamo dagli uccelli di vario tipo: piccioni, vabbé ce li hanno tutti, merli, corvi, cornacchie, passerotti, storni stagionali che scelgono un’antenna e ci vanno in cinquecento, gabbiani, e dico nuovamente, gabbiani. Che uno dice: cosa ci sono venuti a fare i gabbiani sui Navigli? Eh, niente, sono arrivati in pianta stabile verso il 2015 quando hanno inaugurato la Darsena, si fanno qualche settimana d’inverno.
Dico che sono arrivati quando sono arrivata io perché hanno sentito un’aria come di Genova, ma in verità non sono gli stessi gabbiani della Liguria. Sono altri, più pacifici, non hanno lo sguardo torvo di un criminale corso, sembrano più tipo dei Max Pezzali, infatti mi sa che vengono dal Po.
Ci sono i germani, i preferiti dei bambini, che mangiano tutta la spazzatura che la gente butta in acqua, e che ad aprile offrono il commovente spettacolo della loro riproduzione, a cui segue la truculenta decimazione da parte delle cornacchie, che praticamente si nutrono al buffet dei paperini.
I paperini che sopravvivono, l’anno seguente saranno i germani adulti, da quando vivo qui sono passate 7 generazioni. Ti ricordano perché un tempo si facevano dieci figli.
Poi ci sono i cigni, anche loro stagionali, arrivano nei mesi freddi. Uno, due, tre o quattro.
I cigni sono tendenzialmente tipi con l’attaccamento di coppia ossessivo e stanno bene quando sono in due. Quando uno dei due muore, l’altro lo segue in tempo zero, un po’ come a casa Vianello, Mari, Fo. Ti ricordano che la coppia milanese che funziona è quella calvinista.
I paperini che sopravvivono, l’anno seguente saranno i germani adulti, da quando vivo qui sono passate 7 generazioni. Ti ricordano perché un tempo si facevano dieci figli.
I cigni che approdano alla Darsena sono tutti più o meno disfunzionali. Per esempio si presentano dispari. Anche con loro c’è tutto un entusiasmo iniziale, a cui segue la solita ecatombe.
Alla fine ne resta uno solo, e lo si vede andare avanti e indietro a fare le famose vasche, con quello sguardo malinconico che può avere un cigno. Con le persone che lo fotografano dal ponte e lui preso male, con il tipico preso male milanese, la ferita familiare da rifiuto, umiliazione, abbandono e i suoi effetti sull’organismo.
Il cigno dei Navigli è come la scimmietta di quel signore strano che chiedeva l’elemosina quando eri piccolo, la prima volta fa simpatia, poi da lì solo angoscia.
Le nutrie, vabbé. Non faccio l’umorismo sulle nutrie e non tiro in ballo Annabella Pavia, lascio tutta la narrazione su questo roditore agli abitanti della Martesana, che ne hanno molte di più.
I pescatori sono un fenomeno piuttosto curioso da osservare, quando li guardo penso che siano cacciatori seduti che con il potere della loro concentrazione e della loro pace mentale, riescono ad interagire con un’altra dimensione
Veniamo ai pesci, quelli che popolano il Naviglio, non il segno zodiacale.
Allora sui Navigli si è creata tutta una scena di pescatori. Ci sono un team italiano (lato nord) e uno cinese (lato sud), pescano cose diverse, ad orari diversi, con ambizioni diverse.
I pescatori sono un fenomeno piuttosto curioso da osservare, quando li guardo penso che siano cacciatori seduti che con il potere della loro concentrazione e della loro pace mentale, riescono ad interagire con un’altra dimensione, popolata da altri esseri.
C’è indubbiamente qualcosa di mistico in loro, lo si capisce in particolare da quelli cinesi. A volte ce ne sono quattro in fila, ognuno col suo secchio, ognuno muto per i fatti suoi, però puoi notare nitidamente che è uno a pescare più di tutti gli altri.
Il fiume dell’abbondanza non distribuisce a tutti nello stesso modo e sicuramente i cinesi conoscono qualcosa sull’attendere sulla riva del fiume che noi non comprendiamo del tutto.
Nell’acqua ci sono prevalentemente scardole e cavedani, pesci che si possono mangiare solo fritti perché tanto non sanno di niente. Ci sono anche una serie di pesci sicuramente più simpatici, tipo quelli dei tatuaggi: le carpe, i pesci gatto, le anguille e compagnia bella. Sono loro ad attirare i pescatori italiani, un gruppo interamente maschile, ma più intergenerazionale di quello che uno potrebbe credere. Nonni, bambini e tipi in fissa di tutte le età.
Il pesce siluro è il tipico capitalista aggressivo delle vignette satiriche di sinistra: è tozzo, al posto delle squame ha un denso strato di muco, ha gli occhi piccoli e mangia tutto come un’idrovora, non ha manco i denti
Quando è stata sistemata la Darsena, moltissime specie di pesci sono venute a stare qui in città, perché nella parte più campagnola dei Navigli ci sono i pesci siluro, i coccodrilli lombardi.
Il pesce siluro è il tipico capitalista aggressivo delle vignette satiriche di sinistra: è tozzo, al posto delle squame ha un denso strato di muco, ha gli occhi piccoli e mangia tutto come un’idrovora, non ha manco i denti.
È così cattivo che non gli servono, ingoia senza masticare, si dice che possa uscire dall’acqua e mangiare il tuo cane, oppure tuo figlio. Sta nel fango, non vince certo per raffinatezza, alla qualità preferisce di gran lunga la quantità.
È il cliente con cui tutti abbiamo fatto un appuntamento almeno una volta e magari fosse stata solo una.
Rappresenta a modo suo qualcosa da cui tutti noi abitanti del quartiere più o meno inconsciamente stiamo scappando.
Per quello alla fine è il quartiere più simpatico o più antipatico, indubbiamente il più famoso, perché che si tratti di pesci, gabbiani, cigni o persone, ad accomunarli è la stessa cosa: la ricerca di un’alternativa.