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Resilienze Festival 2020: semina, cura, raccolta

quartiere Santo Stefano

Written by Salvatore Papa il 22 August 2020
Aggiornato il 22 February 2021

RE-ANIMATED by Jakob Kudsks Stenseen VR, 2018

Nell’anno della pandemia non poteva mancare Resilienze, il festival di Kilowatt che si occupa di grandi trasformazioni planetarie. Sarà ovviamente un’edizione ibrida tra reale e virtuale adattata al nuovo scenario allungata in tre atti che fanno tesoro della lezione e della pazienza dei contadini. Dal 10 al 13 settembre sarà, quindi, il momento della semina al quale seguiranno la cura del terreno e la raccolta.

Ce l’hanno raccontata Nicoletta Tranquillo, Lorenzo Burlando e Gaspare Caliri che insieme a Jonathan Ferramola curano l’evento.

Il tema di quest’anno sono i Legami Invisibili. Perché?

Lorenzo Burlando e Nicoletta Tranquillo – Durante il lockdown abbiamo iniziato a ripensare al concept del festival perché non potevamo immaginare un Resilienze Festival che non toccasse il tema della pandemia (conseguenza tra l’altro prevista già da parecchi anni dagli scienziati che studiano il cambiamento del clima, ahinoi mai ascoltati) ma volevamo farlo a modo nostro, portando un punto di vista positivo e propositivo, non apocalittico come spesso accade quando si parla di tematiche ambientali.
Abbiamo così iniziato a buttare giù una lista di parole che per noi erano significative e abbinandole tra loro ne sono emerse due (Legami e Invisibili), messe vicine ci hanno subito dato il senso di quello che stavamo cercando, sia perché sono capaci di raccontarci le tantissime connessioni e relazioni che non si vedono (a partire da quelle che ci hanno tenuto uniti durante l’isolamento), sia per sottolineare come la nostra vita sulla Terra, gli ecosistemi e tutto ciò che di meraviglioso vogliamo preservare, si regga su dei fili invisibili, legami che determinano a tutti i livelli i delicati equilibri tra gli esseri viventi.
Questo tema è quindi un suggerimento ad aprire gli occhi, a guardare sotto la superficie, a dare valore alla complessità provando a integrarla nelle nostre decisioni, nelle nostre azioni, nelle politiche, nella formazione.

Non sarà stato semplice organizzare un festival in queste “nuove” condizioni. Che tipo di ragionamenti avete fatto per raggiungere l’attuale edizione?

Lorenzo Burlando – Innanzitutto abbiamo deciso di cambiare il concept della quarta edizione per adattarlo meglio a quello che stiamo vivendo. La pandemia è infatti una delle conseguenze tangibili di ciò di cui parliamo nel Festival, sin dalla sua prima edizione, ossia della necessità di cambiare il modello di sviluppo dominante, di cambiare le lenti con cui osserviamo il mondo, modificando le mappe con cui ci si orienta e si prendono le decisioni.
Poi abbiamo deciso di rallentare e dilatare il festival dividendolo in tre atti: semina, cura del terreno, raccolta. Adottando la metafora del contadino – perché nei momenti di crisi bisogna seminare, guardare lontano e avere pazienza per dare il via un nuovo ciclo vitale – abbiamo voluto creare una lunga edizione che partirà a settembre 2020 e finirà a maggio 2021.
L’edizione di settembre sarà così il momento della “semina” dove proveremo a tirare i primi fili invisibili insieme a tutta la comunità di amici, ospiti, partner, sponsor che ci hanno seguito in questi anni. Sarà un’edizione che si muoverà su un doppio binario: da un lato il festival live con i suoi talk, incontri, proiezioni, performance, e installazioni artistiche, dall’altro una dimensione on-line con dirette streaming e pillole video. Da ottobre 2020 a aprile 2021 sarà invece il momento della “cura del terreno”, i semi piantati a settembre verranno annaffiati nel corso dei mesi attraverso appuntamenti ricorrenti e grazie alla messa on-line di una nuova piattaforma web che sarà il connettore di tutte le esperienze che gravitano intorno al festival, nonché lo spazio che ospiterà tutti i contenuti prodotti in occasione del festival. Con l’arrivo dell’estate, a inizio maggio 2021, torneremo invece all’aria aperta per la quinta edizione del festival che rappresenterà il momento della raccolta. Questa è la fase più importante del ciclo produttivo, quella che permetterà al festival di ampliare i suoi orizzonti puntando a una dimensione internazionale, consapevoli che le tematiche che stiamo affrontando dipendono in buona parte gli scenari futuri che ci coinvolgeranno tutti.

Cosa vi ha insegnato questa pandemia e quali sono i suoi risvolti più importanti nel vostro lavoro?

Nicoletta Tranquillo – Chi si occupa di cambiamenti climatici e di sostenibilità parla da anni di tipping point, termine che sta ad indicare, nel sistema climatico, il sottile confine da una preesistente condizione di equilibrio ad una grande discontinuità di scala. Si tratta del punto di oscillazione di un sistema da un regime di equilibrio a un altro, il momento in cui non è più possibile impedire a dei cambiamenti quantitativi accumulati di provocare un cambiamento qualitativo. Un esempio è la possibile interruzione della circolazione oceanica nordatlantica (la famosa Corrente del Golfo), sistema che regola il clima europeo rendendo questo continente abitabile.
A causa della complessità delle interazioni tra i vari componenti del sistema climatico è difficile prevedere con esattezza a che distanza siamo da un tipping point catastrofico, ma tanti sono gli indizi di un pericoloso avvicinamento.
Abbiamo voluto guardare a questa pandemia come uno di questi punti di discontinuità: non si può più tornare indietro e il nuovo equilibrio è tutto da creare. Resilienze Festival nasce proprio dal desiderio di immaginare un futuro diverso, positivo e collettivo, e quello che abbiamo vissuto ci insegna che dobbiamo assolutamente affrancarci da questo modello di sviluppo estrattivo e iniquo.
Inoltre, la diffusione di Covid19 ha mostrato al mondo intero che quelli più vulnerabili siamo noi esseri umani. Sì perché, nonostante abbiamo chiamato questa epoca antropocene, quelli che rischiano di estinguersi siamo noi, mentre la natura, e l’abbiamo visto durante il lockdown, continuerà a sopravvivere sulla Terra.

Durante il lockdown avete condotto un esperimento di “etnografia domestica”, che verrà poi riproposto in un workshop durante il festival. In cosa consisteva, cosa ne è venuto fuori e in che modo vi è stato utile per costruire poi quest’edizione?
Gaspare Caliri – Durante il lockdown, siamo stati inondati da questionari, come individui e come organizzazione: ci siamo resi conto che erano tutti di natura statistica, ossia avevano l’obiettivo di profilarci secondo le categorie tradizionalmente usate nelle scienze sociali (età, genere, reddito, ecc.). Abbiamo sentito il bisogno di esplorare una strada di analisi più qualitativa e aggregante, di porre domande laterali, che facessero emergere i legami invisibili che ci uniscono, che potessero accendere la nostra capacità di auto-osservarci, specialmente in un periodo così delicato, e di creare nuove categorie, il nostro percorso di senso al di là delle differenze sociali.
Al tempo stesso, avendo chiuso le Serre, eravamo alla ricerca di uno strumento (di un progetto?) per restare a “contatto” con i nostri pubblici. Ne è nato Passa il tempo, passa la bufera, un esperimento di etnografia domestica a distanza, nato per stimolare un rituale di auto-osservazione collettiva di una comunità non formalizzata a priori di persone. Si è trattato di una serie di cinque questionari (compilati complessivamente da quasi seicento partecipanti). Funzionava così: le domande di ogni form erano il risultato delle risposte al precedente, in modo da creare un flusso di riflessioni e di interpretazioni condivise nate a cavallo tra Fase uno e Fase due. Il tutto con una restituzione visiva fortemente illustrativa, da esplorare, più una mappa del tesoro che un’infografica.
Abbiamo capito tante cose grazie a questo esperimento: i legami invisibili sono spesso warm data, direbbe Nora Bateson, dati “morbidi” e relazionali. Le lezioni apprese non potevano che finire anche in alcuni degli appuntamenti di Resilienze, nello specifico due workshop, entrambi a iscrizione: un Warm Data Lab, tenuto da due facilitatori certificati dall’International Bateson Institute; e un laboratorio, gestito da noi, di “autocostruzione” di un questionario qualitativo.

Tra i legami invisibili ci saranno ovviamente anche quelli messi in atto dalla vostra versione “online”. Come rendere altrettanto efficaci e dare senso a queste connessioni virtuali secondo te?

Lorenzo Burlando – Abbiamo voluto portare il festival anche online, in forma di diretta streaming, per dare la possibilità di partecipare anche a distanza, allargando il pubblico. Vogliamo sfruttare questa opportunità per dare corpo a una comunità sia fisica che virtuale per questo cercheremo di curare al meglio la regia in streaming per dare la sensazione anche a chi è distante di essere in prima fila li con noi.
Poi durante il festival realizzeremo una serie di pillole video che saranno messe a disposizione sulla nuova piattaforma web che stiamo progettando e che sarà il cuore del secondo atto di Resilienze Festival.
L’idea alla base della piattaforma è proprio quella di aggregare tutti i contenuti prodotti durante il festival dando la possibilità agli utenti di creare i propri percorsi e seguire i fili invisibili che saranno suggeriti da noi. Ci piacerebbe creare una una nuova forma di ingaggio con il pubblico che abbia una sua componente ludica perché crediamo che per affrontare la complessità serve anche una buona dose di leggerezza.

Quali sono le grandi novità di quest’edizione? Potreste darci qualche anticipazione?

Nicoletta Tranquillo – Ogni anno scegliamo un artista che crei per Resilienze un’opera in grado di trasformare Le Serre, coinvolgendo il pubblico e facendolo riflettere sui temi del festival. Quest’anno abbiamo coinvolto una startup milanese (BePart), che ci piace molto perché lavora con la realtà aumentata e un ampio gruppo di artisti e writers, e abbiamo dato loro una sfida molto affascinante: permettere al pubblico che verrà al Festival di esperire la lingua con cui parla la natura, la lingua della bellezza, dell’armonia, della simmetria e della complessità. Per farlo li abbiamo messi in contatto con alcuni gruppi di ricerca, che operano a livello europeo, e che da circa 10 anni provano a descrivere proprio questo legame invisibile: la complessità della forma e la vitalità della materia.

Un’altra novità sarà la Immersive Area realizzata con il sostegno del Gruppo Hera che vedrà all’interno della Gabbia del Leone una selezione di opere in realtà virtuale curate da VR Pavilion, progetto itinerante che mappa e presenta sperimentazioni artistiche e produzioni indipendenti nell’ambito delle tecnologie immersive.

Infine, grazie ad un sistema di ascolto in cuffia wireless con un audio spazializzato, si potranno ascoltare i talk e vedere i film in programma da qualunque punto delle Serre, così da rispettare le norme di distanziamento sociale, creando nuove esperienze di visione e mantenendo alta la qualità dell’ascolto.
Sostanzialmente abbiamo lavorato per permettere una fruizione differente dalle edizioni precedenti, stimolati dal tema Legami Invisibili, abbiamo voluto far vivere al pubblico un’esperienza virtuale oltre che fisica, che metta ciascuno in un contatto intimo e suggerisca una riflessione individuale sui temi ambientali.

Parlare di grandi trasformazioni planetarie, come prova a fare Resilienze Festival, non è mai semplice. Il vostro scopo è appassionare i cittadini ai temi ambientali attraverso narrazioni diverse. La sensazione è però che lo slancio verso certe tematiche si sia assopito proprio a causa della pandemia sotto il peso delle questioni economiche che – come abbiamo visto – sono spesso messe al di sopra di tutto, anche della sopravvivenza del pianeta. Che ne pensi?

Nicoletta Tranquillo – Come dicevo prima, la mia sensazione è che la pandemia, e soprattutto il lockdown, abbiano invece rimesso al centro le questioni ambientali, e da diversi punti di vista. Il rapporto con la natura ci è mancato, chiusi nelle nostre quattro mura domestiche abbiamo osservato gli uccelli riappropiarsi dei cieli delle città, i delfini avvicinarsi alle spiagge, e credo che molti (è emerso anche dall’esperimento di etnografia domestica) abbiano desiderato un rinnovato equilibrio tra i ritmi dell’uomo e quelli della natura.
Poi la pandemia è stata anche l’occasione per sperimentare nuove abitudini di acquisto e di spostamento, con la crescita per esempio degli acquisti di prodotti agricoli a km0, l’uso della bicicletta, il telelavoro…tutte cose che possono ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente.

Infine, credo che la sensazione generale di vulnerabilità abbia rinvigorito il senso di urgenza per un cambiamento, e le risposte che alcune città stanno dando, per esempio il modello di città dei 15 minuti, e i vincoli europei alla spesa pubblica legata a criteri ambientali, sono dei segnali positivi. Il legame tra crisi climatica e crisi sociale è emerso in modo chiaro, diseguaglianze e danni ambientali sono strettamente legati e sono entrambe conseguenze del modello di sviluppo dominante (ne parleremo con Fabrizio Barca e Elly Schlein nel talk di apertura giovedì 10).

Certo, la sfida è grande e non possiamo pensare che il cambiamento venga dall’alto o da fuori (o da sopra!). Dopo la grande delusione della nostra generazione per la disfatta dei grandi movimenti sociali, noi proviamo ad invocare un cambiamento che parta dal singolo, da ciascuno di noi.

Quali gli appuntamenti in programma da non perdere?

Lorenzo Burlando – Difficile dire quali sono gli appuntamenti più importanti per noi che lo organizziamo perché tutti lo sono in diverso modo. Sicuramente è da non perdere la giornata di apertura del festival Giovedì 10 che vedrà tra gli ospiti Fabrizio Barca, ex dirigente di ricerca in Banca d’Italia e Capo Dipartimento della politica pubblica per lo sviluppo nel Ministero Economia e Finanze che dialogherà con Elly Schlein, Corrado Dottori, Luca Martinelli sulle quindici proposte contro le disuguaglianze sociali, economiche e territoriali contenute nel libro “Per un futuro più giusto”. Poi a seguire ci sarà l’incontro con Elisabetta Zavoli (fotografa) e Sara Michieletto (violinista) fondatrici del movimento Emotion for Change che vedrà un momento performativo al chiaro di luna all’interno dei Giardini Margherita. Venerdì 11 ci sarà l’incontro dal titolo “Vedere e immaginare: ambiente e cambiamento nello sguardo dell’arte” che parlerà del ruolo che può avere l’arte nel mostrarci i legami invisibili che regolano la complessità del mondo e degli ecosistemi. A seguire ci sarà anche una proiezione speciale in cuffia wireless del film Dusk Chours per immergere il pubblico in un viaggio sonoro nel cuore della foresta Amazzonica. Sabato 12 segnaliamo al mattino un incontro dedicato a come i media hanno affrontato la pandemia e quali sfide si prospettano per la comunicazione ambientale e al pomeriggio la presentazione dell’ultimo libro di Bruno Latour “La Sfida di Gaia” alla presenza di Franco Farinelli, geografo, che da decenni lavora sulla relazione tra modernità e mondo (come Gaia, superficie della Terra, ma anche come Cton, le sue viscere) e con Gianfranco Marrone, semiologo, saggista e scrittore.

Per concludere domenica 14 avrà come tema principale l’alimentazione e la condivisione, due cose che noi consideriamo strettamente legate. A pranzo ci sarà un grande Pic Nic ai Giardini Margherita, dove i partecipanti saranno invitati a portare e condividere ricette fatte con sorgo o di miglio biologici che potranno essere ritirati alle Serre nei giorni precedenti al Festival. A seguire un incontro sulla ristorazione come leva di cambiamento per un sistema alimentare più sostenibile, con i principali chef del territorio che hanno partecipato ad una campagna su questi temi (Great it easy) lanciata da Kilowatt a gennaio.