La zona che cresce attorno al MACRO sembra una di quelle foreste in cui regna sempre una calma surreale. Basta però muoversi, esplorare e imparare a vedere con altri occhi per imbattersi e scoprire un enorme flusso di vita animale e vegetale che scorre sottotraccia. Può essere sicuramente d’aiuto una persona che ha già lo sguardo allenato, così come un’inclinazione all’esplorazione e una sicurezza tecnica ai piedi, come le Teva, calzature ormai iconiche che, non a caso, sono nate da un guizzo d’ingegno nel bezzo mezzo del Grand Canyon, quando una guida ha trasformato una necessità (di galleggiamento) in un’attitudine alla scoperta. Che si tratti di città o montagna, di asfalto o di terra poi poco conta: l’importante è stupirsi e meravigliarsi a ogni nuova esperienza.
La guida di ZERO e Teva per questo viaggio è Dario Fociani, local ormai di lunga data che al mattino apre gli occhi prima degli altri perché il suo compito nel quartiere è quello di destare gli spiriti ancora assonnati. Li accoglie nel suo Faro, caffetteria speciality, regno delle migliori miscele provenienti – queste sul serio – da foreste ai quattro angoli del pianeta e tostate da Aliena, torrefazione gemella di Faro. Guadando via Po, Tevere e Isonzo, si arriva da Volt, un centro dedicato all’high intensity training. Un modo abbastanza innovativo di allenarsi che non prevede abbonamenti e schede, ma sessioni uniche intensissime che allenano all’unisono forza, resistenza e agilità. Passati altri due fiumi ancora, il Tirso e il Metauro, si arriva dalle parti di Santi Sebastiano e Valentino. Qui non sono tanto l’udito e la vista a essere sollecitati, ma l’olfatto, che nel vento coglie già con decine di metri in anticipo il profumo del pane appena sfornato, dei lieviti e della pizza. Una scoperta mistica come un tempio Maya che si apre alla vista spostando le fronde degli alberi.
A posti del genere l’unica cosa che si può chiedere è di non cambiare mai, perché per arrivarci si è disposti a girare a piedi non solo il quartiere, attraversando i suoi fiumi, ma l’intera città.
Costeggiando l’Adda e l’incredibile e misteriosa – poiché di norma inaccessibile al pubblico – Villa Albani Torlonia, si arriva al fulcro del quartiere, il MACRO, con il suo labirinto di scale, rampe e sale, sospeso tra la vecchia architettura industriale e le geometrie futuribili, veloci e rosse di Odille Decq. Qui l’accesso è sempre libero e il saliscendi tra opere e installazioni è quotidiano, soprattutto quando le stagioni sono quelle calde e si può godere più a lungo dello stupore urbano che regala la terrazza, circondata da palazzi che quasi si possono toccare. In una struttura parallela, sempre appartenente ai vecchi stabilimenti Peroni che ospitano il Museo, c’è il ristoro per gli assetati: ai tavoli de Il Franco ci sono manicaretti da bistrot e soprattutto vini naturali, con tante storie di territori e di piccoli vignaioli artigiani da raccontare.
La piazza dove tutti i corsi d’acqua poi confluiscono, piazza Fiume, è l’ultimo ostacolo da superare prima di ritornare definitivamente a casa, accolti da piatti di pasta fumanti della Fiaschetteria Marini: sembra ferma nel tempo anche lei come una rovina archeologica, ma a posti del genere l’unica cosa che si può chiedere è di non cambiare mai, perché per arrivarci si è disposti a girare a piedi non solo il quartiere, attraversando i suoi fiumi, ma l’intera città.