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Freddy K

Dal Virus alla KEY Vinyl, da Roma a Berlino. Racconto di una biografia techno, ancora tutta da scrivere.

Written by Nicola Gerundino il 3 December 2019
Aggiornato il 18 December 2019

Date of birth

5 June 1971 (53 anni)

Place of birth

Roma

Attività

Dj, Produttore discografico

Quando si parla di local heroes in musica, si parla di gente come Freddy K: persone che hanno dato tanto per un suono e una città, lasciando impronte indelebili e ricordi vivi anche a decenni di distanza. Il suo momento d’oro a Roma è stato negli anni 90, indissolubilmente legato al programma radiofonico Virus, divenuto vorticosamente un vero e proprio fenomeno sociale. Da quasi dieci anni Freddy K è a Berlino, ma il suo nuovo momento d’oro non è facilmente confinabile alla sola capitale tedesca, perché ormai ogni weekend è in club diverso d’Europa, se non extra continentale. Il prossimo 27 dicembre tornerà qui in città per un set maratona al Cieloterra, occasione imperdibile per uno sguardo al passato e uno al futuro. Un consiglio: leggete l’intervista ascoltando questo podcast, uno degli ultimi realizzato da Freddy K per il suo programma su Radio Red Light, in cui ogni due mesi presenta dischi e test pressing in anteprima.

 

Inizio subito col dire che tu sei stato una delle persone che ha decisamente contribuito a piantarmi in testa il seme dell'elettronica e del clubbing, a metà anni 90, quando ero in piena adolescenza e le mie orecchie erano una spugna pronta ad assorbire tutto e di tutto. Ecco, io e la mia generazione abbiamo avuto voi, che organizzavate feste, facevate radio e portavate già ospiti internazionali. Ma voi chi avete avuto?

Guarda, io in realtà non ho mai scelto di ascoltare la musica elettronica, si è trattato piuttosto di un’approccio spontaneo. Ho ascoltato di tutto fin da piccolo. Mi sono ritrovato i 7″ dei Kraftwerk insieme all’hip hop, all’heavy metal, alla disco, fino alla musica italiana. Anche la radio mi ha influenzato moltissimo. Poi ho cominciato a cercare di capire meglio quello che ascoltavo, seguendo i programmi giusti, comprando riviste e fanzine e andando nei negozi di dischi. All’inizio compravo parecchio hip hop, poi negli stessi posti dove facevo i miei acquisti ho cominciato a vedere e sentire i primi dischi house, poi hip house e acid house – questi ultimi due generi mi hanno veramente aperto un mondo – arrivando ovviamente alla prima techno. A Roma ero fortunato, avendo a disposizione negozi come Goody Music e poi Re-Mix – quest’ultimo davvero fondamentale per il movimento techno degli anni 90. Sono state importanti anche le prime serate nei club, che mi hanno portato a conoscere da vicino il mondo del dj.

Quando hai iniziato a mixare e quali le prime serate in cui hai suonato?

Ho iniziato alle feste private. Frequentavo un gruppo di amici più grandi di me che avevano già un sound system e prendevano richieste per fare feste private, dove era incluso il dj con attrezzatura (piatti, mixer e casse). La prima volta in assoluto fu per un Capodanno: in un ristorante! In realtà non sapevo ancora mixare, i miei amici però erano tutti già impegnati e così mi chiesero se me la sentissi di andare lì, anche per non perdere i soldi dell’affitto (dj + attrezzatura) che a Capodanno erano di più rispetto alle normali feste private. Accettai – ho sempre amato il rischio su queste cose – e fu un successo: cinque ore di musica, passando tutti i generi della dance music, inclusa la techno! In quel momento ho capito che mettere musica mi piaceva tantissimo. Da lì ho imparato a mixare e sono arrivato alle domeniche pomeriggio nei club. Soprattutto grazie a Luca Cucchetti, che conduceva il programma “Mad Show” su Radio Centro Suono, punto di riferimento per la prima techno e tutto il movimento, fui introdotto in un certo network dove feci girare una mia cassetta mixata, mostrando veramente un certo amore per quella musica.

La città come reagì a questa nuova ondata di suoni?

La techno portò una rivoluzione. Roma è sempre stata una città un po’ classica: all’inizio dovevi vestirti elegante, con la giacca, anche per ballare l’acid house, altrimenti non ti facevano entrare nei locali. Invece con le prime feste techno e “rave” – più o meno legali – finalmente potevi andare vestito come volevi e ballare “musica ripetitiva” per ore con volumi altissimi. La techno era veramente una cosa nuova e anche tutto intorno era nuovo, dal vestire alle droghe. Come un po’ ovunque nel mondo in quel periodo.

 

A questo punto arriva il primo snodo fondamentale della tua carriera, la trasmissione radiofonica Virus? Qual è il tuo racconto di quell'esperienza?

Rimane e sarà sempre una delle più belle esperienze della mia vita. Come detto, prima tutto girava intorno alla radio e quando i programmi fondamentali per varie ragioni finirono, a me e a tutta la generazione rave mancava qualcosa. Io suonavo già abbastanza, sia il sabato sera che nelle domeniche pomeriggio, per cui avevo una certa credibilità. Così mi fu chiesto da un frequentatore dei club dove suonavo se poteva interessarmi una stazione radio locale, in cui durante il giorno c’era musica italiana etc., ma dalle venti fino alle sei del mattino non c’era niente. Provai una sera e ricevetti immediatamente telefonate di gente che chiedeva cosa stesse andando in onda, ma, sopratutto, di gente che era felice di risentire techno per radio. Così chiesi di fare il programma tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, per quattro ore, dalle venti fino a mezzanotte. Poi, in un secondo momento, chiesi anche di fare la diretta il sabato notte, mixando in radio fino alle sei di mattina con anche degli ospiti. Mi inventai varie rubriche e l’interesse salì immediatamente, fino a diventare un programma fondamentale a cui erano collegati tutti i club e tutte le feste dove si suonava techno. Una cosa importante da dire: quando proposi di fare tutti i giorni mi fu chiesto di pagare un’affitto, una cifra anche alta oltretutto. Il rischio quindi fu veramente grosso, ma sentivo che era la via giusta. Mi organizzai con i miei risparmi e con i soldi che guadagnavo con le serate.

Un ricordo nitido che ho di quegli anni è la scritta Virus da ogni parte: banchi e bagni di scuola, spray sui muri in strada. Che effetto ti faceva vedere questo nome ovunque?

Onestamente era una cosa bellissima. Viurs non era solo un programma radio: era molto di più. C’era il merchandise, il negozio di dischi e tante altro. Più di ogni altra cosa però, era uno stile di vita legato alla musica techno. Sensazioni uniche, ricordi ed esperienze che potrei elencarti e raccontarti per ore e giorni: gli anni 90.

Quando e come è terminata quell'esperienza? Era cambiato il tuo rapporto con la musica o cos'altro?

No, il mio rapporto con la musica non è mai cambiato, anzi. Diciamo che era arrivato quel momento in cui si capisce che bisogna fermarsi, per far rimanere il ricordo bello, il ricordo vero. Inoltre, Roma è una città che segue tanto le mode e anche il Virus lo era diventato, sebbene abbia poi lasciato un segno indelebile.

 

Dopo la radio e le tue prime uscite discografiche possiamo dire che è iniziata una nuova parte del tuo percorso, che assomigliava già molto di più a quella attuale. Parliamo di Re-Mix e della label Elettronica Romana. Che periodo è stato quello per te?

È stato il periodo dell’evoluzione. Volevo restare sempre nella scena, ma per farlo non potevo sedermi ad aspettare che qualcuno bussasse alla mia porta di nuovo. Sei tu che devi farti notare, inventare, creare. Quindi tutta l’esperienza (anche internazionale) che avevo, la conoscenza e la grande comunicazione, la riversai in quel mondo dove tutto era nato: il negozio di dischi, l’etichette discografiche, il vinile. Chiusi il mio negozio dischi, Virus Records, per unirmi a Re-Mix, con quell’icona che era Sandro Nasonte – figura fondamentale nella storia della techno romana e italiana. Ovviamente continuavo sempre a suonare in giro

Arriviamo a quella che è la tua casa attuale, Berlino. Qualche tempo fa lessi un'intervista (su Soundwall) in cui dicevi che hai dovuto lasciare Roma perché ti dava costantemente rabbia e ricordo che la cosa mi colpì molto. Che tipo di rabbia era e cosa la generava?

Oddio, ripensandoci forse rabbia è una parola un po’ troppo forte, però certamente rende l’idea. Me ne sono andato sopratutto perché sentivo che potevo dare molto, che potevo ritornare a essere me stesso e non “il dj quello degli anni 90”. In tutto il mondo la scena si era evoluta, continuava, invece Roma si era completamente fermata lì. Roma è una città molto tradizionale, anche chiusa per certi versi. Io mi sono vissuto i suoi anni più belli, per quelli che erano i miei interessi ovviamente: la scena musicale, la techno, i rave… Poi tutto si è fermato e mi sono sentito vecchio, anzi, Roma mi faceva sentire vecchio, bloccato, senza una via di uscita in un vortice di mentalità chiusa. Sì, è la città più bella del mondo, ma spesso questo non ti basta per trovare te stesso, anzi, spesso ti fa diventare uguale agli altri e ti fa dire addio ai tuoi sogni. Pensa che praticamente avevo smesso di fare il dj, mi sembrava tutto inutile. Quindi, anche se avevo già 38 anni, mi sono detto: perché no? Perché bloccare i miei sogni, rinunciare a quello che mi piace? A Berlino conoscevo già tanta gente, così ho deciso di provarci.

Qual è stata la cura? La musica o anche altro?

La musica, ma anche l’essere se stesso, la scoperta di cose nuove, la libertà di non essere giudicato. Era esattamente tutto quello che cercavo. Come detto prima, i contatti qui li avevo da anni, reputazione e considerazione anche, per cui mi è stata data subito fiducia e finalmente tutta la mia esperienza e la mia personalità hanno avuto un senso.

Ti ricordi il primo set che hai fatto a Berlino?

Difficile da scordare. È successo immediatamente dopo essermi trasferito, una serata all’://about blank per il famoso queer party Homopatik, dove poi sono diventato resident nella sala techno. Mi fu data subito occasione di suonare: quattro ore indimenticabili che mi hanno ridato fiducia ed energia: ero di nuovo nel mio mondo! Ringrazierò Homopatik per sempre.

E della prima volta che hai suonato al Berghain cosa puoi raccontare?

Il Berghain è il posto che mi ha cambiato la vita, totalmente. Ogni Domenica ero lì per ore e ore, dentro c’era tutto quello che avevo sempre voluto. Quando mi chiesero di suonare la mia felicità fu immensa. Ero come a casa e lo sono tuttora. In quel dancefloor, a 40 anni, ho avuto le esperienze più belle. Ed ancora le ho, sia quando suono sia quando ci vado solo per divertirmi. Difficile da spiegare quel posto se non lo vivi.

Dove ti piace andare a suonare e ascoltare musica a Berlino adesso, nel 2019?

A suonare, già sai la risposta! Per ascoltare ci sono tantissime scelte e tanti club o bar che sono davvero interessanti. Per assurdo, dal momento che nei weekend sono sempre impegnato, il locale che frequento di più dopo il Berghain è l’SO36, un posto fondamentale e storico, dove vado a vedere concerti punk rock di gruppi che mi sono sempre piaciuti.

Nelle serate in cui suoni a Berlino intravedi un ricambio generazionale nel pubblico?. I giovanissimi qui in Italia si stanno spostando su altri suoni, lì invece l'attenzione per la techno è sempre viva, trasversale e si sta anche rinnovando anagraficamente?

Certo, c’è un cambio generazionale. E anche se a livello musicale trovi sempre tutto, la techno è sempre più solida e sempre più presente, non è una moda.

In poco tempo a Berlino hai anche creato anche un'etichetta, la KEY Vinyl. Che tipo di etichetta è? Chi e cosa hai deciso di produrre?

Una label che rappresenta esattamente cosa suono: è l’etichetta di un dj.

Il nome KEY Vinyl parla del rapporto speciale che hai con il vinile. Cos'è questo oggetto per te?

Sono cresciuto con il vinile e per me è ancora il miglior supporto, anche per mantenere un mercato in questo settore, dal momento che con la tecnologia la musica è diventata solo un file, impossibile da toccare, da collezionare, da odorare. Non è una critica alla tecnologia in generale, è solo una mia visione.

Cosa è uscito negli ultimi tempi per KEY Vinyl e cosa farai uscire nel 2020?

Sono uscite parecchie cose: l’LP di Ausgang, i 12” di Ctrls, Vela Uniform, Benales, PVS e tanti artisti di cui suono regolarmente le tracce – anzi, i dischi! Nel 2020 ci saranno diverse novità che però ancora non posso annunciare, oltre ad alcune KEY Vinyl Night molto importanti.

Farai uscire anche qualcosa di tuo il prossimo anno?

Sì, alcune tracce del 1995 rimasterizzate e mai realizzate in vinile: una sorpresa.

 

Cosa stai ascoltando ultimamente?

Un po’ tutto, dall’elettronica dei B12 fino al punk hardcore degli Agnostic Front.

Cosa stai suonando invece? Se dovessi descrivere un tuo set di questi ultimi mesi in una sola frase?

La techno (con le sue derivazioni) che vorrei ballare nel dancefloor.

Questa intervista nasce in vista di un tuo set che farai qui a Roma, il 27 dicembre al Cieloterra. Ti ricordi cosa hai provato la prima volta che sei tornato a suonare in città dopo il trasferimento a Berlino? Che reazione hai avuto dal pubblico?

Ero preoccupato di trovarmi di fronte solo quel pubblico che ti chiede la musica degli anni 90, quel pubblico a cui gli si è fermato l’orologio! Per fortuna però le generazioni cambiano e ora sono contento di suonare per chi apprezza il nuovo che viene dal vecchio.

Ti capita di ascoltare produzioni musicali dall'Italia e, in particolare, da Roma?

Sì. Di artisti ce ne sono molti e interessanti, ma non mi piace entrare nello specifico.

Qual è il tuo rapporto con Roma ora? Ti causa sempre rabbia o sei riuscito a maturare una qualche riappacificazione?

Ma nooo! Rabbia è esagerato dai, l’ho già detto prima. Roma mi ha dato tanto: lì ho ancora alcuni (pochi) veri amici e soprattutto la mia famiglia. Quando ci vado adesso me la godo molto di più, sapendo che non rimarrò prigioniero della sua routine quotidiana. Che stress!

Riesci sempre a seguirla la Roma?

Senza Totti e De Rossi non è più la mia Roma! In realtà non sono un fan del calcio moderno, troppi interessi dietro.

Contenuto pubblicato su ZeroRoma - 2019-12-16