Ad could not be loaded.

Hudson Mohawke

Da Glasgow a Los Angeles con tappa alla Design Week di Milano, un nuovo album da portare in giro e una collezione di orsetti gommosi da scoprire

Written by Tommaso Monteanni il 22 April 2023
Aggiornato il 19 May 2023

A volte è difficile parlare con uno dei cosiddetti innovatori più particolari della musica elettronica sperimentale contemporanea. Perché devi accettare il fatto che le tue domande sono già state fatte e ripetute, e può essere noioso dare un’ulteriore risposta su questioni che sono già state rivelate molte volte. Ma una delle cose belle dell’incontrare per la prima volta una persona come Hudson Mohawke è che riceve tutte le domande come se si trattasse di una conversazione senza aspettative, fumando una sigaretta fuori da un club. E i suoi punti di vista sulla musica dal vivo, sul suo trasferimento dalla piccola Glasgow a Los Angeles e sulle rappresentazioni digitali di se stesso si manifestano in modo davvero naturale, mantenendo una sintonia emotiva con le diapositive della razionalità anche attraverso una videocall qualche giorno prima del suo dj set a Milano.

Ho sempre trovato stimolante il fatto che si possa suonare musica anche strana e che ci si possa comunque divertire.

È quindi bello guardare attraverso il buco della serratura e vedere come le sue vibrazioni sperimentali derivino da un approccio misto di qualcosa che non deriva dalla musica sperimentale in sé, come si mantenga disinvolto con i social network e tutto il resto, e sicuramente come una delle sue cose preferite sia “collezionare” orsetti gommosi da tutte le parti del mondo possibili.

Carlotta Magistris: Cominciamo con le domande più facili. Come stai? È un bel periodo per te?

Hudson Mohawke: Sì, sto bene. Al momento sono tornato in Scozia e sto trascorrendo un bel periodo con la mia famiglia. Sto riguardando tutti i miei vecchi dischi in vinile che sono a casa dei miei genitori; ho passato l’ultima settimana e mezza a riguardare tutti quelli che ho comprato quando ero molto più giovane. È stato molto divertente.

CM: Mi hanno detto che hai chiesto degli orsetti gommosi nel tuo tech rider e dando un'occhiata al tuo sito web ho visto che c'erano un mucchio di orsetti gommosi sullo sfondo. È una tua passione?

HM: Ride, NdRHo sempre avuto un’ossessione per quegli orribili orsetti gommosi. Se ne possono trovare di tantissimi tipi e per un po’ li ho collezionati. Diversi paesi ne hanno di molto specifici e quindi ho sempre voluto trovare qualcosa di specifico di quel paese. Sto ancora cercando di trovarne di nuovi.

CM: Quindi hai collezionato molti orsetti gommosi durante i tuoi anni di tour...

HM: Beh, ne ho anche mangiati molti. Lo chiamo collezionare, ma in realtà intendo mangiare.

CM: L'ultima volta che sei venuto qui a Milano è stato un po' di tempo fa, nel 2016, quando hai fatto il back to back con Madlib. Come hai trovato la città in quel periodo?

HM: Ho suonato a Milano molte volte e la amo. È uno dei miei posti preferiti.

CM: Parliamo di Cry Sugar, il tuo ultimo lavoro. E’ la tua prima uscita dopo Lantern del 2015 e da allora sono successe molte cose, tra cui il tuo trasferimento negli Stati Uniti. Come ti sentivi prima dell'uscita dell'album? Più gasato o spaventato, considerando il fatto che è da un po’ che sei fuori dalle scene?

HM: Mi ci vuole sempre molto tempo per fare un album intero e sono molto perfezionista. Il mio primo album risale al 2009, quindi sono tre album in 12 anni.. Sono grato al fatto che la gente mi ascolti ancora. Penso che in situazioni come queste si sia tesi in ogni caso, perché è la tua arte e se ci sei veramente affezionato è una cosa molto personale. E quindi fa paura. Ma in modo eccitante.

 

CM: C'è qualche disco, artista, film o altro che è stato fondamentale per il processo creativo di questo album?

HM: Non uno in particolare ma molte delle cose che ascolto sono lì. Un po’ di R’n’B degli anni ’80, ’80 e ’90. Credo che si senta un po’ di quell’influenza. È buffo perché è roba di nuovo molto popolare. Poi ho sempre ascoltato un sacco di rave, hardcore e gabber, sono sempre stati i miei generi preferiti, ed è divertente, ancora, che anche questo tipo di musica sia molto popolare oggi. Ricordo che quando ho iniziato ad ascoltarla, non ero nemmeno al liceo e non era la roba più figa del momento.

CM: C'è un tipo di luogo o ambiente in cui ti piacerebbe suonare Cry Sugar o che pensate possa essere adatto?

HM: Stiamo ancora pianificando un paio di eventi e sto cercando di capire qual è il tipo di spazio ideale per ascoltarlo. Credo che l’album sia in gran parte club music, ma anche musica da cuffiette. Quindi stiamo cercando di trovare il giusto equilibrio tra un ambiente da club molto intenso ma anche un luogo in cui le persone possano assorbire lo stato della musica che non è roba da club. Sto ancora cercando di capirlo e non vedo l’ora che arrivi sabato per avere la possibilità di suonare in un locale più piccolo, perché penso che quando si suona in locali con quattro o cinquecento persone è più bello e intimo, e ti dà la possibilità di fare un vero e proprio viaggio perché non è il tipo di ambiente in cui tutti aspettano suoni giganteschi o qualcosa del genere. Ho anche la sensazione che, dopo la pandemia, la gente sia più propensa a rimanere in questo tipo di luoghi, un po’ più piccoli e più connessi. Ad essere onesti, credo che questo tipo di ambienti siano più divertenti per le feste. Se ripenso a tutti i miei spettacoli e party preferiti, non sono mai quelli che si svolgono in grandi festival o club.

CM: Parlando di social network, ho visto il video musicale di "Dance Forever", che mi è piaciuto molto e dal mio punto di vista sembra parlare del concetto di rappresentazione digitale; inoltre, indagando su di te per fare questa intervista ho visto che hai un account TikTok attivo e altro. Volevo quindi sapere, da millennial quale sei, che tipo di rapporto hai con la rappresentazione di te stesso e con i social media in generale?

HM: Penso che debba essere naturale per me e che debba adattarsi agli altri aspetti della campagna discografica e a quel genere di cose. Quindi, come le cose che ho sul mio tik tok o sul mio Instagram, sono tutte dello stesso tipo di universo della mia musica e della mia personalità. Da questo punto di vista, è molto facile. Credo che la cosa inizi a diventare strana quando si vede qualcuno che fa un tik tok o qualcosa del genere per attirare un pubblico diverso e si capisce che non viene naturale. Non la penso in termini di millennial o gen Z, è più una questione di adattamento stilistico.

 

CM: Come ho detto prima, ti sei trasferito a Los Angeles nel 2016 e prima di allora hai trascorso molti anni a Londra, giusto? Hai qualche tipo di rapporto artistico anche con la tua città natale, Glasgow?

HM: Credo che Glasgow abbia plasmato molto i miei gusti in generale, perché qui c’è questa sorta di interessante combinazione in cui alla gente piace molto fare festa ma è anche parecchio interessata alla musica. Di solito in molti posti si ha una cosa o l’altra: tutti amano le feste ma non si interessano alla musica, oppure tutti si interessano alla musica, ma le feste non sono belle. In qualche modo a Glasgow c’è questa sorta di situazione magica in cui le persone sono davvero competenti e interessate alla musica, ma amano anche fare festa per davvero. Ho sempre trovato stimolante il fatto che si possa suonare musica anche strana e che ci si possa comunque divertire.

CM: Com'è stato il trasferimento negli Stati Uniti dal punto di vista emotivo?

HM: È molto diverso. Mi è mancata molto la sensibilità, la cultura e il gusto europeo. Ma l’America è davvero ok per tante cose. So che molte persone amano odiare l’America: io penso che ci siano tante cose belle lì ma se penso alla musica dance e alla cultura dei club sono molto indietro rispetto all’Europa. È buffo che nell’ultimo anno abbia avuto questa conversazione con così tante persone: molti dei dischi più importanti e fondamentali della musica dance provengono dall’America e quando sei lì è molto difficile capire come questi dischi possano provenire da questo posto, dove non sembra esistere una vera e propria cultura della musica dance, capisci?

CM: Sì, è divertente e inaspettato. Ok, ultime due domande: sono un po' autoriflessive, quindi sentiti libero di rispondere come vuoi. Un mio amico mi ha detto che sei il Caravaggio della musica elettronica e quindi volevo sapere...

HM: Ride e si sorprende, NdR – Ok.

CM: Innanzitutto cosa ne pensi di questo paragone, se ti ha fatto ridere?

HM: Penso che sia un paragone piuttosto esilarante. Me lo prendo.

CM: Si dice anche che tu sia uno dei più grandi sperimentatori nel mondo del beatmaking e del suono pop in generale. Come ti senti al riguardo? Come uno sperimentatore?

HM: La cosa divertente della questione della sperimentazione è che non ho mai considerato ciò che faccio come sperimentale, ma per qualche motivo tutti gli altri lo fanno. Quindi, credo di doverlo assecondare. Ma direi che una piccola parte della mia musica preferita è sperimentale. La maggior parte della mia musica preferita è musica pop, sai? Penso che per molte persone qualsiasi musica non sia house o techno sia automaticamente sperimentale.

CM: Te l’ho chiesto perché spesso le persone amano definire il modo di produrre degli artisti, ma molte volte capita che ci sia un'enorme differenza tra la percezione delle persone e quella degli artisti stessi.

HM: Esattamente.

 

CM: Cercando tra le tue interviste ho letto da qualche parte che dopo il tuo primo progetto TNGHT hai iniziato a produrre musica come Hudson Mohawke e che le tue preoccupazioni riguardavano il fatto di non sentirti definito in un certo tipo di genere. Vedendo la tua carriera musicale, penso che tu sia riuscito a vincere questa sfida, ma personalmente, ti senti soddisfatto di questo tipo di pensieri? E pensi che Cry Sugar, il tuo ultimo disco, sia quello che rifletta meglio quello che sei oggi da questo punto di vista?

HM: Ci ho sempre pensato molto: se ti piace ascoltare molta musica diversa e fai musica, perché dovresti limitarti a farne una sola? È una cosa che non ha mai avuto senso per me. Credo di non averla mai pensata particolarmente profonda, è solo che trovo un po’ noioso fare sempre la stessa cosa. Quindi, nel momento in cui ho la possibilità di fare un sacco di cose diverse, di giocare con idee diverse e di pubblicarle, questo è ciò che mi mantiene preso bene e interessato.