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Francesco Garutti

ELEGANTIA è la mostra che inaugurata in Triennale il 27 gennaio a cura di Francesco Garutti, con la direzione artistica di Bonaspetti

Written by Angela Maderna il 20 January 2017
Aggiornato il 8 February 2017

Place of birth

Milano

Milanesissimo, con una formazione nel campo dell’architettura, ha quasi subito virato verso la pratica curatoriale (lo straordinario motivo ce lo racconta qui sotto), occupandosi spesso anche di editoria e senza mai abbandonare del tutto l’interesse per l’architettura (tra i progetti per il futuro infatti c’è una monografia di Kuehn Malvezzi per Mousse Publishing).
Francesco Garutti ha un cognome che ha un peso specifico non indifferente nel mondo dell’arte italiana e immaginiamo che l’esser stato capace di costruire una seria e solida carriera lontano dall’ombra del padre Alberto non debba essere stato semplicissimo.
Anche se, come ci dice, da quando è tornato dalla sua residenza al CCA di Montreal ha lavorato quasi più a Genova che qui in città, resta uno degli attori della scena milanese dell’arte contemporanea, oltre ad essere un curatore attento al lavoro dei giovani artisti.
La prossima settimana apre in Triennale Elegantia, la mostra di Jos de Gruyter & Harald Thys che Francesco Garutti cura con la direzione artistica di Edoardo Bonaspetti, quale occasione migliore per fargli qualche domanda? Si è parlato d’arte, di curatela e di fiere, ma anche di Milano e di sport.

Steilneset Memorial / Peter Zumthor and Louise Bourgeois
Steilneset Memorial / Peter Zumthor and Louise Bourgeois

ZERO: Hai una formazione da architetto, hai anche lavorato per diverso tempo nello studio di Peter Zumthor. Come mai hai deciso di lasciare la pratica dell’architettura e dedicarti all’arte contemporanea?
Francesco Garutti
: In studio da Zumthor – 2007-2008 – ho avuto il piacere e la fortuna di lavorare su un progetto straordinariamente interessante per molte ragioni, dal tipo di architettura alle insolite meccaniche di commissione: lo Steilneset Memorial a Vardø, minuscolo villaggio di pescatori, estremo Nord della Norvegia. Peter Zumthor e Louise Bourgeois erano stati chiamati a costruire un memoriale dedicato a 124 donne donne uccise sul rogo nel ‘600 perché presunte streghe. Una commissione pubblica, finanziata dal Ministero delle Infrastrutture Norvegesi per il piano delle celebri National Tourist Routes; un grande architetto e una grande artista, un padiglione di ferro e vetro nero per un’opera d’arte in mezzo al ghiaccio e un museo-memoriale in uno dei luoghi meno accessibile del pianeta. Considero il lavoro in studio per quel progetto il mio primo passo dall’architettura alla curatela. Non sono più tornato indietro.

Steilneset Memorial / Peter Zumthor and Louise Bourgeois, photographed by Andrew Meredith
Steilneset Memorial / Peter Zumthor and Louise Bourgeois, photographed by Andrew Meredith

Continui comunque a muoverti e a scivolare tra arte e architettura, che cosa li tiene legati nell’ambito della tua ricerca?
Mi interessano i contenuti. Le grandi opere – di qualsiasi natura esse siano – sono una sintesi precisa di un frammento di mondo. Ho paura delle assonanze formali tra i due mondi. Mentre è importante usare architettura e arte per capire delle cose.
A Montreal per il mio periodo di lavoro al CCA come Emerging Curator ho proposto al museo di produrre un film su un’oscura storia di urbanistica e politica nordamericana degli anni ’20. La ricerca in realtà cercava di esplorare le conseguenze indirette e inattese – politiche, sociali ma anche intime, ambigue e private – della costruzione di certi oggetti. Ho invitato figure come Steve Graham – urbanista che da anni studia i disastri e i breakdown delle infrastrutture sulle quali fondiamo il nostro quotidiano – o Antony Hudek curatore d’arte contemporanea che ha esplorato da vicino mostre come Les Immateriaux o Making Things Public dove il rapporto tra visibile e invisibile, soggetto e oggetto, opere e cose è costantemente ridiscusso.

Jos de Gruyter & Harald Thys, Project 13, installation view. Photos by Serge Hasenböhler, Courtesy of Isabella Bortolozzi Galerie, Berlin, Kunsthalle Basel 2010
Jos de Gruyter & Harald Thys, Project 13, installation view. Photos by Serge Hasenböhler, Courtesy of Isabella Bortolozzi Galerie, Berlin, Kunsthalle Basel 2010
Sei un curatore molto attento ai giovani artisti, vuoi farci qualche nome di artista che stai seguendo e nel cui lavoro credi?
C’è un’intera generazione di emergenti in Italia che aspetta una galleria illuminata o un’occasione istituzionale. Dovremmo tutti rischiare di più. Nel 2013 insieme Yann Chateigné Tytelman per quell’edizione del Furla avevamo deciso di candidare Davide Stucchi, da poco vincitore del premio Dior, seppure davvero giovane rispetto alla media dei candidati del premio. I temi che l’opera di Stucchi toccava ci interessavano e ci interessano ancora oggi moltissimo perché in modo sottile esplorano i bordi dell’opera e i principi di seduzione del sistema. Le meccaniche di presentazione e rappresentazione, le logiche di comunicazione e distribuzione dell’immagine. Presentare, mostrarsi, mettersi in posa. In Italia seguo da vicino il lavoro di Andrea Romano, Diego Marcon, il gruppo di Armada, Serena Vestrucci, Lupo Borgonovo, Beatrice Marchi, Alessandro Agudio e altri ancora.
Sono contento di aver lavorato per THEVIEW Studio con artisti come Ian Law e soprattutto come Peter Wächtler, per la prima volta in Italia.

Davide Stucchi, NENA, 2015, produced by TheView Studio for Sant’Ilario Pavilion, Genoa, Italy
Davide Stucchi, NENA, 2015, produced by TheView Studio for Sant’Ilario Pavilion, Genoa, Italy

La tua ricerca curatoriale si è sviluppata di pari passo con l’attività editoriale, hai pubblicato diversi libri, ma sei anche stato Art editor di Abitare, mentre oggi sei anche un docente e ti occupi della produzione delle opere (sempre sotto il profilo curatoriale) a The View Studio. Chi è e cosa fa un curatore oggi? Si può ancora dare una definizione di curatore? Molti ne hanno ormai quasi una percezione negativa, non è un termine di cui forse si è abusato?
Siamo senz’altro stanchi di tutti gli anni spesi ad assistere a panel sulle pratiche curatoriali tra fiere e biennali. I musei, le istituzioni, le gallerie e i curatori dovrebbero forse semplicemente porsi come principale obbiettivo quello di provare a “dire qualcosa”. Scegliere con cura, trovando l’alchimia giusta tra le economie a disposizione e la necessità di entrare in dialogo con il pubblico – di qualsiasi tipo esso sia.
Se possibile, evitare di fare certe mostre forse solo perché a volte conviene o costa poco. La chiave credo possa essere – soprattutto in Italia – provare a immaginare davvero dei programmi organici per esplorare contenuti e sguardi sul mondo, non semplicemente mettere in mostra. Costruire un discorso.

Installation view Sant'Ilario Pavilion at THEVIEW Studio, October 2015. Daniel Gustav Cramer "Untitled (Carrara)"
Installation view Sant’Ilario Pavilion at THEVIEW Studio, October 2015. Daniel Gustav Cramer “Untitled (Carrara)”

Ci racconti meglio che cos’è The View Studio a cui lavori con Vittorio Dapelo?
THEVIEW è Vittorio Dapelo e il suo modo di osservare in modo affilato e obliquo il sistema dell’arte oggi. Uno studio di produzione con sede a Sant’Ilario, vicino a Genova. Insieme ad artisti scelti immaginare progetti per luoghi precisi fuori dalle logiche di produzione delle gallerie. Nel 2015-2016 abbiamo curato cinque personali in in un piccolo padiglione di ferro e di vetro in un angolo meraviglioso di Liguria. I pezzi erano installati il tempo necessario a girare un film sulla loro storia di produzione, sulla loro presenza lì, sulla loro relazione con quell’architettura e quel paesaggio. Gli artisti sapevano sin dall’inizio che il loro lavoro sarebbe risulttato visbile al grande pubblico solo in versione video/cinematografica. I film hanno dato poi corpo a Pavilion Suite, una mostra nelle sale di un palazzo del ‘500 nel centro di Genova, Palazzo Durazzo.

Fairland
Fairland

Nel 2013 hai curato un volume dedicato alla riflessione sulle fiere d’arte, Fairland edito da Koenig Books & Mousse Publishing. Cosa ci dici sul futuro delle fiere? Soprattutto di quelle italiane dato che in questi mesi abbiamo assistito a diversi cambi di direzione….
Le fiere sono un interessante territorio da esplorare perché sono uno spaccato denso e piuttosto crudo del sistema dell’arte. Tutto ciò che ne fa parte è in un grande ambiente artificiale per una settimana sotto le luci accecanti delle alogene, moquette, angoli di architettura finta – penso in questo senso al progetto di DIS per Frieze pubblicato su Fairland o ai disegni di de Gruyter & Thys su Art Basel. L’arte ha regole di difficile tracciabilità, ma molto precise e da gestire con cura; e in fiera è come se fossero parzialmente rivelate tra gossip e mercato. Questa è il tema curatoriale a mio modo di vedere – uno strano mix contrastante e impuro di economia, politiche di gestione e tutto ciò che di potente è contenuto in un’opera. E in questo senso interpretare al meglio il tema curatoriale, forse vuol dire far funzionare al meglio la macchina. Ovvero far vendere opere alle gallerie.
Io adoro però vedere le opere da solo in una stanza. Quello che abbiamo cercato di fare con THEVIEW, quello che ha fatto Anthony Huberman con The Artist’s Institute a New York.

Ausstellungsansicht: Das Wunder des Lebens, Kunsthalle Wien 2014, Foto: Stephan Wyckoff: Jos de Gruyter & Harald Thys, De Drie Wijsneuzen, 2013, Courtesy: Isabella Bortolozzi Galerie, Berlin; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerpen; und die Künstler
Ausstellungsansicht: Das Wunder des Lebens, Kunsthalle Wien 2014, Foto: Stephan Wyckoff: Jos de Gruyter & Harald Thys, De Drie Wijsneuzen, 2013, Courtesy: Isabella Bortolozzi Galerie, Berlin; Galerie Micheline Szwajcer, Antwerpen; und die Künstler

Veniamo alla mostra in Triennale: Come e quando hai incontrato Jos de Gruyter e Harald Thys? Come è nata questa mostra e la collaborazione con la direzione artistica di Edoardo Bonaspetti in Triennale? Cosa vedremo?
Ho incontrato Jos & Harald nel 2008 a Bruxelles e abbiamo sempre pensato ad una mostra insieme. Coincidenze: Edoardo Bonaspetti mi aveva chiesto di proporre un progetto per Triennale, io da tempo stavo cercando un modo per presentare gli ultimi lavori di de Gruyter & Thys in Italia.
ELEGANTIA è una mostra sull’arte. La messa in scena di un allestimento senza autore. Un riflesso. Harald Thys parla di “Luftspiegelung”, miraggio-specchio, in tedesco. Indirettamente ispirata dalla ricca complessa e ipertrofica storia degli allestimenti che hanno abitato le stanze della Triennale per decenni – ELEGANTIA è la caricatura di un’architettura, l’immagine di un’esposizione sulle “belle arti”, che si rivela – dopo pochi attimi di straniamento – un catalogo ambiguo di orrori e solo apparenti normalità. La tensione ossessiva dell’idea di “mettersi in mostra” che poi fallisce e si presenta piatta e deforme. Apparente normalità. In verità la mostra è molto psicologica, come se potessimo abitare per qualche minuto uno spazio psichico. Come tutti i lavori di Jos & Harald a me fa paura, e abita uno spazio parallelo a quello dei loro film. Il giorno dopo l’opening presenteremo proprio per questo al Teatro dell’Arte cinque film di de Gruyter & Thys, tra i quali l’ultimo, mai visto in Italia.

Jos de Gruyter & Harald Thys, Der Dokter, 2013, Courtesy of M HKA, Antwerp
Jos de Gruyter & Harald Thys, Der Dokter, 2013, Courtesy of M HKA, Antwerp

Che rapporto hai con tuo padre Alberto? Parlate sempre d’arte e architettura? E con il suo lavoro? Avete mai lavorato insieme?
Parliamo spesso e discutiamo quando ci vediamo – non succede così frequentemente –, ma non abbiamo mai lavorato insieme. Politi anni fa ci chiese un’intervista conversazione, ma abbiamo declinato l’invito. La questione – come puoi immaginare – è che con un padre tutto è più forte che stare seduti in pubblico a fare finta di parlare di lavoro.

Jos de Gruyter & Harald Thys: Fine Arts - Photos by Pablo Enriquez 2015
Jos de Gruyter & Harald Thys: Fine Arts – Photos by Pablo Enriquez 2015

Milano è la tua città natale, quali sono i luoghi che frequenti? Locali, ristoranti, ma anche luoghi dedicati alla cultura.
Nessun locale, ho davvero un’attrazione fortissima per i bar d’angolo. Adesso che ci penso anche la casa in cui vivo a Milano è su un angolo tagliato dell’isolato.

M. Asnago, C. Vender, Edificio d'abitazione S. Rita, 1937 - 1938 via Euripide, Milano
M. Asnago, C. Vender, Edificio d’abitazione S. Rita, 1937 – 1938 via Euripide, Milano

Mentre a livello architettonico quali sono gli edifici che ami in città?
I primi progetti per Jos & Harald a Milano erano pensati per spazi e architetture anni ’60-’70 e ’80. Ne abbiamo studiate un po’. Tra queste: Figini e Pollini dietro San Satiro – inquietante facciata rustica, medioevale e moderna; l’hotel di Largo Augusto, sempre Figini e Pollini periodo tardo. La mia architettura preferita è però vicina a casa: Asnago e Vender, via Euripide: curva bianca, proporzioni delle finestre allungate, strani tagli degli appartamenti e formelle sulla facciata appena visibili. Proprio dietro quello strano blocco di architetture che lambiscono l’antico quadrato della fiera.

Se non ricordo male sei anche un tifoso, vero? A che squadra tieni (Inter mi pare)? Una partita memorabile?
Prima il ciclismo. Passo sempre soffrendo un po’ vicino al Vigorelli ormai senza biciclette e ho un ricordo meraviglioso di Moser esausto sul prato del velodromo dopo il suo ultimo record dell’ora lì. La partita è un pezzo d’infanzia preciso: Inter – Aston Villa 3-0. Il 1990 come un anno di trasformazioni, il boom di tutti quegli stadi e il loro fallimento. Il prato di fango e zolle impraticabile e poi la grafica RAI.

Finiamo con i progetti per il futuro, cosa c’è in cantiere dopo Elegantia? Puoi anticiparci qualcosa?
La nuova monografia di Kuehn Malvezzi con Mousse Publishing e la curatela di un progetto concepito da Vittorio Dapelo e prodotto dagli Amixi di Villa Croce a Genova: DAVANTI AL MARE – Atto I che ha come protagonista Diego Perrone. Stiamo lavorando – tra città e museo – sull’ossessione della modellistica navale, l’autismo mentale che la costruzione di un modello può produrre. Il futuro sarà di viaggi.