«Ho capito ancora di più il significato della parola, il suono “gqom”, quando sono stato a Durban, sentendo suonare il gqom nei taxi e nelle township: le sfondano quelle casse!». Parliamo di ritmo, di bassi, di elettronica “spontanea” e casereccia, nel senso di prodotta per lo più in casa al computer, tramite software basici. Una delle novità nel mondo del clubbging e dell’elettronica di questi ultimi mesi porta il nome di gqom: più che un nome, un suono, quello del kick della batteria che risuona a tutto volume nelle casse. La sua capitale è Durban e la sua diffusione a livello planetario la si deve in buona parte a Nan Kolè (al secolo Francesco Cucchi), un romano classe 1980 che da questo suono è stato rapito qualche anno fa, a tal punto da fondare un etichetta ad esso interamente dedicata: la Gqom Oh! Ci siamo fatti raccontare questo inedito e curioso asse Roma-Durban da Nan Kolè in persona – o Malumz, come lo chiamano lì a Durban. Dai primi dj set capitolini alle prossime uscite discografiche, passando per una compilation seminale uscita nel 2016: The Sound of Durban Vol.1.
ZERO – Iniziamo dalle presentazioni: come ti chiami, dove e quando sei nato?
Nan Kolè – In questo periodo della mia vita mi piace sentirmi chiamare Malumz, come mi chiamano i ragazzi di Durban. Sono nato a Roma il 9 marzo del 1980 e il mio nome d’arte attualmente è Nan Kolè.
Ti ricordi il primo disco – o il primo artista – che ti ha legato all’elettronica e al clubbing?
Wow! No, sono troppi… Cercando di fare un po’ di ordine mentale potrei dirti che il primo disco che mi ha fatto salire la pezza e mi ha mandato in addiction a 14 anni è stato The Chronic di Dr. Dre. In quel periodo ho iniziato a comprare dischi e a fare il dj. Per quanto riguarda la vera e propria elettronica, a intuito mi vengono in mente PCP, The Mover, ma anche la techno di Roma degli anni in cui cominciai ad andare ai rave illegali.
Quello che ti ha fatto entrare in contatto con l’universo musicale africano e te ne ha rivelato la dimensione più elettronica?
Donae’o – Party Hard. Poi l’afrobeat 9ija di artisti come D’Banj e Wande Coal e anche tutto l’azonto ghanese, diciamo intorno al 2009/2010.
Ti ricordi la prima serata in cui hai suonato come dj? La prima che hai organizzato, invece?
La prima grande emozione come dj (e anche come organizzatore) è arrivata forse a un teknival nel 1998, dove avevamo montato un nostro soundsystem. Ero poco più che un ragazzino. Professionalmente parlando, la prima serata organizzata è stata la prima stagione di Viral assieme a Riccardo Petitti all’Init, nel 2007/08.
Oltre che di Viral, mi piacerebbe un tuo ricordo anche dell’altra serata in cui mi è capitato di sentirti suonare qui a Roma: Afrodisia.
Di Afrodisia ricordo con piacere le mattinate a lavorare con Mauro Zanda al Rialto, pianificando e organizzando la stagione. Ricordo anche una bellissima mattinata che ho passato con dEbruit, dopo la serata, a mangiare una pizza al taglio al mercato rionale della Pisana, seduti su delle scalette, parlando di musica, strumenti musicali ed esperienze di mare e navigazione. Anche di Viral ho tantissimi bei ricordi. Ad esempio, l’emozione nel ricevere un pull up dal nostro primo ospite Uk, LD, che venne dietro in consolle mentre suonavo una bomba di Dj Wonder, What. Era il 2008: eravamo io Riccardo Petitti, Dj Pier e circa una cinquantina di persone, ma questa cosa mi fece veramente emozionare. Poi un altra situazione che mi viene in mente è l’invasione di palco durante il dj set di Scratcha Dva, sempre all’Init: fantastico (ride), è venuto giù tutto! Stavamo tutti troppo carichi, Scratcha compreso. Credo che ci sia un video su youtube.
Hai suonato in qualche altra serata qui a Roma?
Sì, sono stato ospite di altre serate e ho fatto anche il dj per alcuni concerti hip hop, ma principalmente ho suonato per Viral e Afrodisia.
Dove ti rifornivi di musica e quali altri dj di Roma ti piaceva ascoltare quando suonavano?
La mia collezione di vinili è incrementata notevolmente quando ho iniziato a lavorare nel 2004 in un negozio di dischi che si chiamava l’Orso Buddy, mi occupavo anche degli ordini e quindi metà del mio stipendio andava via così. Ho un bellissimo ricordo di quando da ragazzino andavo da Goody Music – nella vecchia location, quella in cui si scendeva di sotto – e da Remix. E poi i dischi di super qualità che ordinavo con Riccardo Petitti sotto suo consiglio, quando gestiva il suo negozio al Pigneto, Vinyl Refresh. Mi mancano veramente quei momenti. Dal punto di vista del deejaying sono cresciuto con Riccardo Petitti e Andrea Lai ai tempi di Agatha al Brancaleone. Roma è una città che ha dei grandissimi dj: ne potrei nominare tantissimi da cui ho imparato, anche e sopratutto nell’ambito house e techno. Ti faccio tre nomi Leo Anibaldi, Dj Stile e Max Scoppetta.
Mi ricordo di aver visto anche un tuo progetto live, che mi era piaciuto e mi aveva fatto ballare molto: PepeSoup.
Era un progetto live molto interessante e sinceramente unico in Italia. I fondatori eravamo io (ai beat) e Miss Annie aka Karima 2G (Italia/Liberia) alla voce. Nei live avevamo anche dei musicisti talentuosi, tutti di base a Roma: Moustapha Mbengue (Senegal, percussioni e vocal), Tendai “Flash” (Zimbabwe, tastiere e mira), Papy Tall (Senegal, basso). Il suono rifletteva e rappresentava molto tutte queste diverse culture: era un bel mix di Europa/Africa, tra elettronica e tradizione.
Arriviamo al presente. Cos’è successo dopo tutti questi progetti romani? Il passaggio dalla vecchia identità artistica (Cukiman) a quella nuova (Nan Kolè) è stato veloce oppure c’è voluto del tempo per farlo maturare?
Avevo bisogno di aria fresca e vita nuova. Sinceramente il passaggio o il processo di cambiamento, se cosi possiamo chiamarlo, è stato abbastanza lungo: è iniziato nel 2013/14 e mi ha portato a lasciare Roma a fine 2015.
L’incontro con il Sudafrica e la sua musica è stato “casuale” oppure no? C’è stato un viaggio di scoperta oppure avevi già dei legami che ti hanno portato a conoscere la musica di quella zona dell’Africa?
Avevo dei legami artistici con la mia precedente etichetta digitale, legata al progetto PepeSoup.
Sei entrato subito in contatto con la scena gqom oppure sei passato per artisti sudafricani più famosi come Culoe de Song o Black Coffee?
Ho scoperto la scena elettronica sudafricana nel 2010, quando scoprii questo store online che si chiamava afrodesiamp3.com. Era fantastico, c’era tutto, dal kwaito all’afro/deep house. La maggior parte degli artisti erano sconosciuti a noi in Europa. Ci ho passato belle nottate a comprare mp3 e già li mi resi conto che a Durban il suono era diverso: era dark e più elettronico.
Qual è stata la tua prima reazione quando hai sentito un brano gqom? È stata una rivelazione o intuivi che da qualche parte qualcuno stesse pensando a ritmi e suoni del genere?
È stata un rivelazione, la reazione è stata letteralmente fisica, come bere dieci caffè. E ancora adesso, quando suono gqom, rivivo quella sensazione di un fuoco in mezzo al petto. La cosa più interessante è stata quando ho cominciato a parlare con i ragazzi che la producevano e mi rendevo conto che non conoscevano assolutamente niente della scena elettronica Europea: è stato proprio questo che mi ha fatto venire la voglia di farla conoscere e suonare, di esportarla e di promuovere la cultura delle township di Durban, in Europa e specialmente in Uk.
Come lo descriveresti questo genere a chi non ne ha mai sentito parlare?
Apocalittico, incazzato, profondo e oscuro come il subconscio. Mentale, ma allo stesso tempo fisico. Intuitivo, potente (nel senso di “loudness”), puro.
Gqom vuol dire qualcosa in particolare? Da dove viene questo nome?
È la botta del kick, è una parola onomatopeica. I primi tempi nessuno mi sapeva dare un significato preciso finché un giorno Citizen Boy per fammi capire mi disse: «Guarda Malumz, quando sto in camera a fare i pezzi, a suonare, e il volume è troppo alto mia madre entra e dice: basta con tutto questo gqom gqom gqom!». Come dire: «Basta con questo bum bum bum!» o «Tun tun tun!». Ho capito ancora di più il significato della parola, il suono “gqom”, quando sono stato a Durban, sentendo suonare il gqom nei taxi e nelle township: le sfondano quelle casse!
Quando hai deciso di fondare la Gqom Oh!?
Nel gennaio del 2015.
Qual è stata la prima uscita e quale sara la prossima?
La prima è stata un bootleg uscito solo in vinile in 200 copie, nel luglio del 2015. La prossima sarà il nostro primo singolo di un singolo artista: Dominowe – SiyaThakatha, che vuol dire “black magic”.
Quest’anno è uscita una compilation molto importante, The Sound of Durban vol. 1, ce la puoi raccontare?
Ho raccolto le tracce che mi hanno più emozionato in quei primi tre giorni di chiusa che ho fatto nel gennaio del 2015. Sono i pezzi nei quali mi ci sono letteralmente perso. Il problema è stato selezionare il mio “best of”, perché più di dodici pezzi su un doppio lp non si potevano incidere.
Il mondo gqom è in digitale, ovvero si basa su mp3, neanche più su cd masterizzati. Visto che le origini sono queste, per l’etichetta hai deciso di fare uscite solo in digitale o anche su supporti fisici?
No, facciamo solo uscite fisiche, chiaramente anche con download digitale. Vinili e cassette. Della compilation è uscita anche una versione in cd, ma solo per il mercato giapponese. Secondo me è importante avere un approccio diverso da parte dell’ascoltatore e questo è possibile solo con chi compra ancora i vinili. È un ascolto più attento, non usa e getta insomma.
Sono molto curioso di sapere come funzione la produzione di questi brani: qual è la strumentazione di base che hanno i produttori di gqom? È fatta in casa o si lavora in studio?
I nostri artisti lavorano solo in casa e in generale gli artisti a Durban hanno home studio. Principalmente usano solo Fruity Loop con l’uso di sample diy. Io vi consiglierei di guardare il documentario che abbiamo girato con Crudo Volta per vedere i ragazzi come lavorano, come la vedono, per osservare la realtà di Durban: è pazzesco ed emozionante.
Il tuo lavoro si limita a raccogliere i brani oppure ci lavori anche sopra?
Ci lavoro solo di mastering, c’è chi in europa edita i brani gqom, ma lo trovo inutile e anche un po’ irrispettoso. Cioè, è assurdo e non capisco l’esigenza di doverli adattare ai nostri dancefloor o ai nostri concept: levare il kick qui, spostare il drop accorciare o fare entrare i suoni più velocemente. È sconfortante. Perché snaturarlo della sua essenza? È un genere cosi puro e intuitivo.
Chi sono i tuoi artisti preferiti della scena gqom? Se non vuoi sbilanciarti sui preferiti puoi consigliare quelli che un neofita dovrebbe ascoltare per farsi una buona idea.
Dj Lag, Rude Boyz, Dominowe, Julz da Deejay, Formation Boyz, Citizen Boy, Dj Mabheko, TLC Fam. Lo scopo della nostra compilation Gqom Oh! The Sound Of Durban Vol. 1 è proprio questo: è una view a 360 gradi dei vari stili gqom di Durban. Il bello di questo genere è che ogni produttore ha un suo mondo da esprimere e lo stile, appunto, è spesso molto diverso.
Ci sei stato a Durban? Che città è? Ci sono dei locali di riferimento dove si balla gqom?
Ci sono stato tra marzo e aprile del 2016. È una realtà unica, bellissima. Là la vera scena gqom, cioè quella underground dove tutto nasce e si sviluppa, la puoi vivere e vedere solo nelle township o nei taxi rank il sabato sera. Ci sono anche dei club di riferimento dove i ragazzi vanno nei weekend e sono il 101 e l’Havana Club.
Dove ha attecchito in Europa questo stile? Immagino in Inghilterra: leggevo del ruolo che ha avuto l’etichetta Goon Club Allstars e mi ricordo anche di diversi brani a firma LV realizzati con un mc sudafricano, Okmalumkoolkat, che magari fa parte del giro gqom.
Sì, al momento chi ha recepito e accolto il gqom con grande entusiasmo è stata sicuramente la scena Uk, ma anche in Germania e in Portogallo c’è un buon seguito. Okmalumkoolkat è originario proprio di Durban: credo sia stato proprio lui il primo a spingere questo suono e attualmente nel suo live porta anche questi ritmi.
Avresti mai immaginato che il progetto gqom oh ricevesse così tanta attenzione?
Un po’ sì, voglio dire, era il mio obiettivo, ma cosi tanto no, non me lo aspettavo. Cioè, non mi aspettavo di fare sold out del doppio vinile, tutti, ma dico tutti, mi avevano detto che avrei perso i soldi perché non le avrei mai vendute 500 copie di un doppio lp, ma questa musica ha una vibrazione, un’ atmosfera unica, e i ragazzi Durban hanno un talento enorme. Il messaggio doveva arrivare per forza.
Com’è la reazione del pubblico a questo tipo di musica, ora che la stai portando in giro?
C’è un unica grande differenza tra la reazione del pubblico in Europa e in Sudafrica e mi fa troppo ridere questa cosa. Ogni volta che comincio un set la gente è un po’ persa e non sanno come ballarla ed è assurdo perché il gqom nasce prettamente come musica da ballo: è legata ad un ballo specifico che si chiama bhenga. In ogni caso, quando ho suonato a Berlino è stato bellissimo vedere il pubblico perso ma preso. È impossibile che non ti prenda questa musica: è psichedelica, metafisica, ma anche terrena e ti fa stare proprio in questo limbo tra cielo e terra.
La serata più divertente in cui hai suonato ultimamente?
In Italia mi sono divertito molto all’Ortigia Sound System perchè la gente a sue avolta si è divertita. Ma la serata più bella per ora è stata a Berlino al Watergate, suonare in quel contesto il gqom alle 4 del mattino era proprio quello che avevo in mente ed è stato molto intenso. Ci aggiungo anche la data recentissima che abbiamo fatto a Cracovia per l’Unsound.
All’ultimo Club To Club hai suonato con Dj Lag questo personaggio?
Dj Lag è uno degli originator del gqom: le sue tracce sono state campionate da tutti a Durban ed è anche un grandissimo dj.
Ti rivedremo presto anche a Roma?
Sì, sicuramente. Abbiamo anche in serbo una sorpresa per il 2017: per un unico evento tornerò al mio vecchio nome Cukiman, dividendo di nuovo la consolle con Dj Pier. Insieme ai ragazzi di Crudo Volta Radio porteremo un ospite speciale da Londra che non ha mai suonato in italia.