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Karol Sudolski

Karol mischia grafica, codici di programmazione, videogiochi, modelli 3D e musica e così ci restituisce il suo immaginario.

quartiere Bicocca

Written by Virginia W. Ricci il 6 August 2018
Aggiornato il 19 December 2022

Attività

Artista

Crescere in un momento storico di iper-sviluppo tecnologico è stato molto divertente e stimolante, forse un bel casino sotto molti punti di vista, ma di sicuro ha prodotto alcune delle menti artistiche più interessanti delle ultime generazioni. Karol Sudolski, giovane interactive media designer valtellinese di origini polacche, è figlio dell’epoca di MySpace, della PlayStation, degli Anime e delle prime community online. Un mondo virtuale che si sovrappone a quello reale e apre nuovi universi di immaginazione, lo stesso che Karol oggi ricrea nei suoi paesaggi visuali. Negli ultimi anni i suoi lavori hanno accompagnato musicisti come L I M , Mecna, Andrea Poggio e Fabri Fibra, ma lui continua a sostenere che siano stati “fortunati incidenti di percorso”… Abbiamo fatto qualche domanda a Karol per approfondire la sua particolare relazione con il mondo, sia esso reale o virtuale.

ZERO: Ti ricordi i tuoi primi approcci ai software? In che modo ti sei avvicinato all’universo tecnologico?
Karol: Da piccolo ero molto preso dai Pokémon. Avevo la versione Yellow per Game Boy Color e un mazzo del gioco di carte. Quando i miei hanno installato la prima connessione Internet sono finito a frequentare il fandom online e in particolare i forum di una community legata alla realizzazione di Fake Trading Cards. Nonostante il nome, più che fake erano fan art. Nessuno pensava di stamparle e utilizzarle per il gioco ufficiale, erano più che altro esperimenti grafici. A differenza dell’arte astratta che abbiamo fatto tutti su Paint, c’erano delle guideline da rispettare (la grafica effettiva di queste card, con il suo layout, i font, i colori, le regole del gioco a cui erano legate). Così mi sono scaricato il trial di PaintshopPro. Un’altra svolta è stata MySpace: per pimpare il mio profilo ho cominciato a fare copia-incolla di righe di codice HTML e CSS.

Quali sono gli artisti che ti hanno fatto capire che avresti voluto intraprendere la strada della videoarte?
Non ho mai pensato di voler fare videoarte (e nemmeno ora penso di stare facendo esattamente quello), quindi soprattutto all’inizio non c’erano artisti tra i miei punti di riferimento. Ero più concentrato sul “prodotto”. Da piccolo volevo far parte dei team di sviluppo dei videogiochi, ma non sapevo esattamente in che veste. Mi piacevano i videoclip, sopratutto quelli che avevano un’estetica che mi ricordava i videogiochi. Parlo di “Un inverno da Baciare”, “All is Full of Love”, “Porcelain”, “Frozen”, “Californication”, “Spice up your Life”, “Pts.of.Athrty”. E amavo gli Anime in cui si parlava di robottoni, magia, mostri, misticismo, e un sacco di drama (Neon Genesis Evangelion, Alexander, Slayers, Sailor Moon, Magic Knight Rayearth, Trigun). Solo molto più tardi ho capito che potevo incrociare tutto questo in qualcosa fatto con le mie mani, e in quel momento ho cominciato a guardare chi stesse già facendo cose su questa strada – come motivazione o come output.

L’acqua sembra un elemento molto importante per te. Ci sono paesaggi sonori o visivi del mondo reale che sono stati di particolare ispirazione per la tua ricerca?
Ho abitato spesso a ridosso di situazioni acquatiche. La casa della mia infanzia si trova sulla sponda dell’Alto Lario; durante l’adolescenza giocavo nei fossi e andavo a cercare gli stagni nel bosco. Quando ero teenager facevo il bagno con i miei amici nelle gole del torrente dietro casa e ad un certo punto è comparsa una piscina. Mi piacciono gli ambienti umidi insomma. Da un lato quelli torbidi e scuri, nascosti, silenziosi, invasi dall’odore del terriccio bagnato. Dall’altro quelli cristallini e luminosi, pieni di rifrazioni, odore di cloro e rumore di onde.

Crescendo in anni di costante evoluzione tecnologica, qual è stato l’oggetto o il programma che, quando è arrivato, ti ha cambiato la vita?
Se devo sceglierne uno, sicuramente la macchina fotografica digitale, e parlo di una Bridge anni Duemila che mi hanno regalato per la cresima con una scheda da 16MB. Ma è molto difficile tralasciare PS2, After Effects e la fotogrammetria.

I videogiochi sono un mondo parallelo, oltre che un’industria gigantesca, paragonabile a quella cinematografica. Quali sono (stati) i tuoi fondamentali, in questo senso?
Hexen. È il primo videogioco “da adulto” a cui ho giocato da bambino. Era abbastanza dark e truce ma più gay di Doom II. Tomb Raider 3 è stato il primo gioco che mi ha fatto seguire la trama in maniera più interessata e percepire una risposta emotiva alle ambientazioni e al sountrack. Amavo comunque vedermi protagonista sessualizzata femminile e chiudere il maggiordomo nella cella frigorifera. Il vero (primo) Amore però è stato per Final Fantasy. È sicuramente la serie di videogiochi che più ha influenzato la mia fantasia e a cui sono più affezionato. Un’esperienza cinematografica di 150 ore gioco.

Se potessi scegliere con chi / in che forma / con che mezzi lavorare, senza limiti di budget, che progetto avresti in mente?
Mi piacerebbe lavorare ad un lungometraggio o anche una serie. Raccontare cose non è il mio forte, quindi vorrei che qualcuno lo scrivesse con me. Sarebbe una storia su persone reali in un contesto fisico standard, ma raccontata per immagini nel modo in cui lavoro ai visual ascoltando le canzoni, quindi da un punto di vista della realtà percepita e
immaginata.

Guardando i tuoi primi lavori e gli ultimi, riesci a tracciare una direzione della tua espressione artistica?
Mi sembra tutto a caso ora come lo era prima. Si tratta di lavori nati da fortunati incidenti di percorso che vedo chiaramente quando riguardo il risultato finale. Sicuramente vedo una crescita tecnica e mi vergogno un po’ di alcune scelte fatte la settimana scorsa, come vedo leggermente mutare gli oggetti del mio interesse. Ma è troppo presto per interpretare questo in chiave di espressione artistica.

Perché, secondo te, è importante imparare il Coding e la programmazione di software?
Io non sono assolutamente un esperto, ma essere smanettone e riuscire ad avvicinarsi al codice, anche solo capendo alcune righe, permette più facilmente di passare da software a software, da un ambiente di sviluppo all’altro. Ti dà più possibilità tecniche per sperimentare e rende più facile interagire con persone che scrivono il codice per te. Poi penso che tutto quello che ci circonda sia riconducibile ad un codice, noi pure. Quindi il codice è un po’ la verità, no?

Qual è il modello di Mac con cui hai scelto di lavorare e perché?
Lavoro su due computer, un macbook pro e un iMac Pro. Lavorando con i video e il 3D ho sempre una mole di lavoro importante da far processare alle mie macchine. Sul fisso svolgo la maggior parte del lavoro progettuale e ho una coda di render infinita per non farlo dormire mai. Può essere considerato l’astronave madre, mentre il portatile invece si muove con me. Oltre ad aver avuto un’egregia carriera (ed essere sopravvissuto a tutti i render) prima che mi prendessi un iMac pro, mi serve per i visual, i workshop, per sopravvivere a lunghi viaggi in treno lavorando e controllare in remoto il fisso.

Cosa cercherai di trasmettere e insegnare a chi parteciperà alla sessione?
Devo ancora pensarci bene e capire come, ma vorrei avvicinare i partecipanti a uno degli aspetti più divertenti delle cose che faccio: la fotogrammetria, ovvero la sintesi di modelli 3D a partire da una serie di fotografie fatte intorno al soggetto. È un processo buffo e la prima volta si producono dei mostri. Approcciandosi in maniera poco professionale alla cosa, come faccio io, il risultato è sempre un’incognita e c’è un’alta percentuale di casualità in tutto il processo. Sarebbe divertente produrre una gallery digitale di ritratti deformi.

Che cosa ti ha insegnato la città di Milano e in che modo viverci ti ha formato come artista? Se potessi proiettare una tua idea futura di questa città che cosa cambieresti?
A ritagliarmi i miei spazi e i miei percorsi (fisici). Non è una città facile da capire, per quanto piccola. Viverla in bicicletta, anche per gli spostamenti lunghi, mi ha permesso di averne una percezione geografica più precisa, guardare gli stessi posti da prospettive diverse. I quartieri che prima percepivo come scatole chiuse e lontane si mescolano e si toccano, e nascondono altre scatole al loro interno. Nella mia fantasia Milano ora ha più l’aspetto della città che si arrotola su se stessa come in Inception, ma in modo più sporco e organicamente caotico, come nei miei agglomerati digitali. Per il futuro di Milano vorrei una città senza automobili.

Quali sono i luoghi di Milano che più ti appartengono e perché?
Ho sempre vissuto a Milano Nord quindi i miei luoghi del cuore sono da queste parti, da Bovisa al Monumentale, passando per Bicocca, Greco, la Martesana, Via Padova. Si tratta più di percorsi che ho fatto regolarmente verso scuola o lavoro, che conosco a memoria e che rappresentavano lo sfondo visivo delle mie pippe mentali. Ci sono delle strade che sento mie perché rappresentano i tragitti per le pedalate che ho fatto regolarmente per molto tempo inseguendo i miei affetti, o fuggendo da essi, isolati che evitavo per non incontrarci o dove mi infilavo apposta per fare un incidente. Mi piacciono molto i parchetti sfigati e i mercati dell’usato in posti desolati.

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Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2018-09-15