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Laila Al Habash

Abbiamo intervistato l'artista italo-palestinese in occasione del suo live per il festival romano SUPERAURORA e dell'uscita del nuovo EP Long Story Short

Written by Giulio Pecci & Nicola Gerundino il 27 July 2024
Aggiornato il 29 July 2024

Laila indossa un abito pop, dai ricami elettronici, ma questo non le impedisce di aprire squarci profondi sulla realtà e di voler andare oltre il luccichio delle superfici. Lo fa nella musica, collaborando con produttori come Stabber e richiedendo, come in questa intervista, più spazio per nicchie che vadano oltre i numeri e sappiano stimolare la curiosità degli ascoltatori; lo fa nel privato (che è anche pubblico e viceversa), schierandosi apertamente su problemi internazionali come il conflitto israelo-palestinese, dramma che la vede in prima linea discendendo per via paterna da quei territori, da molti ancora non riconosciuti come Stato. Abbiamo scambiato con lei qualche battuta in vista della sua esibizione per il festival romano SUPERAURORA (in programma sabato 27) e a pochi giorni dall’uscita del suo nuovo EP “Long Story Short”, ancora una volta per l’etichetta Undamento.

 

 

Che periodo è per te questo?

Al momento sono in tour: viaggio in giro con i miei amici e suono la mia musica sui palchi, non me la sento di lamentarmi!

Tornando un po' indietro invece, puoi raccontarci un po' delle tue origini e di come l’ambiente in cui sei cresciuta ha influenzato la tua musica? 

Sono cresciuta in provincia di Roma in un piccolo paese, Monterotondo, posto dal quale ho sempre voluto andarmene il prima possibile perché non mi ha mai offerto un granché. Sicuramente la noia e la rabbia di sentirsi “tagliata fuori” ha alimentato una certa voglia di cercare altro e di più: qualcosa che andasse oltre, anche a livello mentale e creativo. Vengo da una famiglia dove hanno coesistito tranquillamente due culture, quella italiana e quella araba, quindi il tema del diverso e del “lontano” mi è sicuramente familiare.

Hai iniziato a scrivere canzoni a 14 anni. Quali erano le tue principali ispirazioni musicali in quel periodo?

Ero in fissa più di tutti con i Baustelle, poi con Mina, Raffaella Carrà e tutta la musica dell’Italia anni Sessanta-Settanta: un immaginario che gli stessi Baustelle hanno sempre citato molto. Ascoltavo tanto cantautorato italiano, indie-pop, ma anche post-punk, riot grrrl, r’n’b. Nella musica ho avuto e continuo ad avere gusti eclettici, sono sempre stata curiosa.

Qualche parola sull'EP "Long Story Short": da dove viene? Ci prepara al prossimo disco?

Sicuramente sono due dischi che si parlano. Avevo voglia di uscire con musica nuova in cui avessi di più io il polso della situazione, dalla composizione alla direzione artistica fino alla comunicazione. Mi sono divertita molto a farlo.

In quest'occasione hai anche debuttato come producer: è un'esperienza che ripeterai?

Penso di sì. Il brano “In breve” l’ho prodotto e registrato da sola, non so neanche io cos’è: un outro? Una skit? Quello che volete! Inserisco sempre nei miei album un brano o un momento dove non penso a nessun fine particolare, al massimo l’unica regola che mi do è che il risultato deve farmi un po’ ridere.

Cosa ti ha sorpreso in positivo e negativo?

In positivo mi ha sorpreso come il pubblico durante i live cantasse da subito a memoria tutte le canzoni, anche quelle nuove: è una cosa che mi stupisce tutte le volte e non considero affatto scontata. In negativo niente che non sapessi già a dire il vero. Certo, il fatto che lo stesso giorno dell’uscita di “Long Story Short” sia stato pubblicato un tormentone gigante di Tananai e Annalisa praticamente con lo stesso titolo, “Storie brevi”, mi ha fatto molto ridere. Non so quante fossero le possibilità!

Quali sono le differenze che hai notato tra il pubblico italiano e quello internazionale rispetto alla tua musica?

Il pubblico all’estero l’ho trovato più curioso e aperto. Spesso ci sono stati spettacoli sold out senza che la maggior parte delle persone mi conoscesse, ma era semplicemente curiosa e interessata. In Italia non c’è questa abitudine e mi ci metto in mezzo anche io, nella mia “bolla” si va per lo più a vedere gente che si conosce già, o amici di amici.

Come vedi l'evoluzione della musica italiana e quale pensi possa essere il tuo contributo a questa scena? Progetti futuri?

Penso ci sia spazio per tutti nella musica. Mi piacerebbe che fosse dato più spazio a realtà, collettivi e generi di nicchia e non solo a chi sposta grandi numeri. Questo potrebbe aiutare a stimolare la curiosità di cui parlavo prima. I miei progetti futuri al momento sono cercare di non svenire ai soundcheck nelle afose pianure italiane alle due di pomeriggio e concentrarmi sulla chiusura del disco nuovo: non vedo l’ora che esca!