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Ludovica Gioscia

Londra e Roma, internet ed esperimenti di fisica alternativa. Abbiamo intervista Ludovica Gioscia in occasione della personale Nuclear Reaction Cosmic Interaction in programma alla galleria Ex Elettrofonica.

Written by Nicola Gerundino il 16 October 2018
Aggiornato il 17 October 2018

General view of "Nuclear Reaction Cosmic Interaction", 2018. The artist is wearing "Receipt" (collaboration with James Stopforth), Ex Elettrofonica, Rome.

Foto di Matteo D’Eletto

Date of birth

14 November 1977 (47 anni)

Place of birth

Roma

Place of residence

Londra

Attività

Artista

Un’artista romana che da ormai 20 anni risiede a Londra. Una mostra che ha come tema il subbuglio generale che internet e i social stanno determinando nelle relazione tra mondo interiore ed esteriore, tra passato, presente e futuro, scardinando confini e categorie. Una bella occasione per una chiacchierata che prenda spunto dall’arte per arrivare a uno sguardo più ampio sulla contemporaneità. Appuntamento fino al 21 novembre con la mostra “Nuclear Reaction Cosmic Interaction” di Ludovica Gioscia alla galleria Ex Elettrofonica.

“Nuclear Reaction Cosmic Interaction”, Ex Elettrofonica. Foto di Matteo D’Eletto.

 

Partiamo dalla mostra che ha inaugurato da pochi giorni alla Ex Elettrofonica. Questa galleria ha uno spazio e una forma molto particolari: in che modo hanno influenzato il tuo lavoro?

È stato un colpo di fulmine. La prima volta che ho visto lo spazio ho subito immaginato un’installazione totale, che attivasse tutta la bellissima struttura progettata dagli architetti Federico Bistolfi e Alessandra Belia. La galleria evoca immagini di caverne, foreste e vagine. Immaginari che riportano a uno spazio intimo, introverso e profondo. Ed è così che ho sviluppato l’immaginario della mostra, incentrato su un viaggio introspettivo.

Chi viene a vedere la mostra cosa trova alle pareti della galleria?

Trova materiali legati alle pratiche che attuo giornalmente in studio, in particolare la serigrafia e la scultura. Diversi stadi di produzione sono come cristallizzati attraverso installazioni a parete che scandiscono lo spazio con diverse texture. Zone “soffici” – in cui carte da veline utilizzate per assorbire gli
eccessi degli inchiostri serigrafici vengono fatte scivolare su superfici liquide e poi accartocciate – si alternano a zone più corpose e dense. Nello specifico, si tratta di interventi in cui carte da parati serigrafate da me in studio o “provenienti dal futuro”, vengono sovrapposte una sull’altra e in seguito strappate per rivelarne gli strati sottostanti. Sopra a questi interventi sono stati appesi altri lavori in ceramica, cartapesta e stoffa. Le immagini presenti nella mostra, spesso trasformate in pattern, provengono dal mio vissuto personale. Sono rigurgitazioni delle memorie che ho delle superfici della casa in cui sono cresciuta a Roma e degli esperimenti di fisica alternativa di mia madre, scomparsa nel 2010. Tra i tanti lavori c’è anche una collaborazione con l’artista James Stopforth, che per la mostra ha realizzato un
camice da laboratorio folle che si chiama “Receipt”.

La molteplicità di immagini, grafiche e codici di cui hai appena parlato ricorda molto quello che si vede quando si apre una pagina internet o, ancora di più, quando si utilizzando social come Instagram. Immagino che non sia un caso.

Assolutamente no. È dal 2006 che lavoro sull’impatto che la rivoluzione digitale sta avendo sul nostro comportamento e sulla percezione del mondo che ci circonda. Nel 2006 parlavo del “Barocco Elettronico”, come teorizzato da Norman M. Klein nel libro “The Vatican To Vegas: A History of Special Effects”, pubblicato nel 2004. Nel libro l’autore illustra un parallelismo tra le scenografie articolate presenti nel barocco e le superfici mediatiche straripanti d’immagini e d’informazioni del nostro contemporaneo. Negli ultimi anni poi, mi sono molto concentrata sull’annullamento della linea temporale determinata dai nuovi orizzonti digitali, dando vita al mio nuovo modus operandi: l'”Infinito Presente”. All’interno di questo ecosistema, lavori passati, presenti, futuri e provenienti da altre dimensioni convergono in nuove creazioni. Le opere sono continuamente in uno stato di evoluzione e il mio studio è diventato un portale magico in cui appaiono opere provenienti da multiversi, dal futuro o dal mondo onirico. Ho un diario notturno in cui disegno le opere che sogno, per poi ricrearle nel mio laboratorio. Nella mostra alla Ex Elettrofonica esploro il flusso digitale in cui le immagini sempre di più confluiscono in formazioni di cui è esponenzialmente più complesso definire la provenienza o l’arrivo, e in cui il nostro personale quotidiano e intimo è trasmesso al mondo intero attraverso piattaforme come
Instagram. Sta avvenendo uno scambio fortissimo tra i nostri mondi interni e il mondo esterno, al punto che, in parte, viviamo nelle proiezioni di noi stessi. Mi è sembrato naturale esplorare questo rovesciamento di mondi in uno spazio così introverso, così “cavernicolo” come la galleria di Ex Elettrofonica.

Queste considerazioni le ho ritrovate anche nel tuo testo introduttivo alla mostra di cui mi hanno incuriosito due passaggi. Il primo è questo: "La finzione sta superando la realtà".

Questa frase proviene da un libro, “Picnic Comma Lightning”, pubblicato da Laurence Scott quest’estate. Scott ha anche scritto un bellissimo testo che ha accompagnato la mia personale presso la Baert Gallery di Los Angeles nel 2017, “In Living Silver”, scaricabile sul sito della galleria. È stato un’onore lavorare con lui. Il suo lavoro l’ho scoperto in una presentazione che fece nel 2016 presso il Jerwood Space a Londra, in cui parlava della doppia faccia delle nuove temporalità che sono emerse con la rivoluzione digitale, in particolare descrivendo reti che navigano al contempo l’innovazione e la nostalgia, per cui è lecito dire che il passato non è mai stato cosi presente. In “Picnic Comma Lightning” Scott analizza, fra le tante cose, come le realtà personali o dei media diffuse attraverso i social impattino sempre di più le nostre vite. Lo vediamo in eventi fondamentali come l’elezione di Trump o la Brexit: entrambi episodi che molto probabilmente non si sarebbero manifestati senza l’avvento delle “fake news”.

Il secondo passaggio riguarda un'espressione singola che hai anche citato all'inizio dell'intervista: "Presente infinito".

Mi limito a dire che è lo specchio di internet: tutto accade simultaneamente in uno spazio che si espande esponenzialmente all’infinito.

Quali sono gli artisti che stanno lavorando sui tuoi stessi temi e dai quali senti di aver tratto ispirazione?

Non saprei da dove cominciare per quanto riguarda gli artisti che amo. Quando posso compero opere: un mio grande sogno nel cassetto è poter collezionare senza restrizioni di budget! Non seguo necessariamente artisti che lavorano sulle mie stesse tematiche, anche perché l’analisi della rivoluzione digitale è abbracciata da tanti. Ti compilo quindi una piccola lista di artisti che stimo, che seguo, che mi hanno influenzata e che arricchiscono il mio piccolo universo. Molti sono anche cari amici: Jebila Okongwu, Karen David, Lily van der Stokker, Samara Scott, Sarah Baker, Katharina Grosse, Zadie Xa, Karen Tang, Andrea Zittel, Josh Blackwell, Suzanne Tresiter, Levack Lewandowski, Ettore Sottsass, Nathalie du Pasquier, Paulina Michnowska, Anne Ryan, Karla Black…

Vivi a Londra, ma sei nata a Roma. Qual è stato il tuo percorso?

Nel 1996 mi sono trasferita e Londra, dove ho conseguito un BA (Bachelor of Arts, nda) in Fine Arts presso la Chelsea College of Art e, dopo aver vissuto per un periodo in Australia, un Master in Fine Arts sempre a Londra, alla Slade School of Art. Come prima lingua ho imparato l’inglese e penso che ciò abbia profondamente influenzato la mia impostazione mentale: siamo anche un prodotto della lingua che parliamo. Sin da allora sapevo che sarei finita a Londra e alla fine degli anni 90 la capitale inglese era in vero fermento: era il periodo in cui stavano esplodendo i YBA’s (Young British Artists, nda).

Ti ricordi come e quando ti sei avvicinata al mondo dell'arte contemporanea?

Grazie a un poster sbiadito e un po’ strappazzato di Joan Mirò che è appeso a casa di mio padre e su cui ho fantasticato durante la mia infanzia. Ritrae una figura che sembra un alieno coloratissimo, con cui ho stretto subito amicizia.

Roma come ti ha formato?

Il Barocco, le architetture di vari periodi fittamente stratificate, la città museo a cielo aperto, le rovine. Mi reputo fortunatissima a essere cresciuta tra le pagine di un libro di storia dell’arte.

Arrivata a Londra qual è stata la più grande differenza che hai notato rispetto al mondo dell'arte contemporanea?

Quando mi sono trasferita a Londra avevo appena 18 anni, quindi non conoscevo il mondo dell’arte contemporanea. Forse posso dirti la differenza che ho notato tra i sistemi educativi, perché prima di trasferirmi ho fatto un anno di pittura presso L’Accademia a Via di Ripetta. A Roma dovevo scegliere un professore e ciò determinava il mio percorso formativo. Bisognava seguirlo, diventare dei piccoli discepoli. In Inghilterra tutto il contrario: l’enfasi era di aiutarci a sviluppare un linguaggio personale, una propria identità.

È possibile comparare la realtà romana dell'arte contemporanea e quella londinese?

Sono due realtà incomparabili, specialmente per quanto riguarda i numeri di persone addette al settore. Forse mi sbaglio, ma penso che a Roma si possano contare centinaia di artisti, a Londra sono migliaia. Solo questo semplice fatto cambia totalmente le dinamiche. Inoltre, sono due città che viaggiano a velocità
totalmente diverse e che da un punto di vista urbanistico non potrebbero essere più distanti: in una per lo più si tende a preservare, nell’altra invece si abbatte di continuo per ricostruire. Roma ha il vantaggio di offrire continue ispirazioni
attraverso la sua stessa bellezza mozzafiato, che da secoli ispira artisti, Londra ha dalla sua uno scambio culturale così denso da far scaturire continue evoluzioni.

Prima di questa personale cosa hai realizzato qui a Roma?

Ho un lavoro di dimensioni architettoniche e semi permanente al MACRO (“Forecasting Ouroboros”, 2012); nel 2014 ho preso parte a
un progetto d’arte pubblica lungo il Tevere curato da Maria Alicata e Bartolomeo Pietromarchi per la celebrazione del centenario del CONI; nel 2016 ho partecipato alla mostra “L’arte che accadrà” a Palazzo Fiano, curata da Valentina Ciarallo per la prima edizione del premio HDRA.

Tornando un po' al tema della mostra, con internet ormai si vivono più vite nelle varie parti del mondo in cui si è vissuto e lavorato? Tu senti di avere una doppia vita romano-londinese?

Non riesco a tornare a Roma spesso, i miei legami professionali mi portano altrove. Il prossimo anno passerò un periodo a Los Angeles per la mia seconda personale presso la Baert gallery, e a Basilea per la mia prima personale in Svizzera a “VITRINE”, con cui ho appena iniziato a collaborare.

Ci sono artisti italiani di cui segui il lavoro con piacere?

Chiara Camoni, Jebila Okongwu, Stefano Canto e Jacopo Miliani.

A Londra cosa sta succedendo nel mondo dell'arte contemporanea? Su quali temi ci si sta concentrando e con quali mezzi?

Succede talmente tanto che finisco con il seguire ciò che mi interessa di più: la scultura e l’installazione. C’è stata negli ultimi anni un’esplosione di interesse per la ceramica, che è finalmente vista come un materiale importante come la pittura a olio o il marmo e non è più solo ricondotta all’artigianato. Tanti artisti stanno sviluppando lavori davvero interessanti in questa direzione.

Qualche artista della scena londinese/inglese da tenere d'occhio?

Lindsey Mendick e Paloma Proudfoot, due artiste bravissime che lavorano con la ceramica. Tra poche settimane inaugurerà la loro
personale da Hannah Barry, curata da Marcelle Joseph, in cui stanno realizzando lavori a quattro mani.

Mai pensato di ritornare a Roma?

Assolutamente. Molto più avanti però, a fare la bella vita!