Marco Massarotto è nato a Bassano del Grappa nel 1971 ed è un imprenditore della comunicazione digitale (Hagakure, ora Doing), oltre che autore per Feltrinelli-Apogeo di alcuni libri sull’argomento. È un grande appassionato di enogastronomia giapponese e ha fondato La Via del Sake, associazione culturale con lo scopo di promuovere il “Washoku” in Italia. Siamo riusciti a bloccarlo mentre sfrecciava per la città con la sua inseparabile bici pieghevole e, in occasione della terza edizione di Milano Sake Festival dal 9 al 10 ottobre in Cascina Cuccagna, ci ha raccontato tutto della bevanda alcolica nazionale giapponese.
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ZERO – Puoi raccontarci la tua esperienza professionale, fino ad arrivare all’organizzazione di Sake Festival?
Marco Massarotto: Mi occupo di comunicazione e eventi da molti anni. E lavoriamo per parecchi clienti nel settore del lusso e dell’enogastronomia. Dopo 15 anni passati nelle più importanti agenzie di pubblicità, nel 2006 ho aperto la mia agenzia di comunicazione digitale: HAGAKURE (il nome giapponese era un presagio). Sono stati dieci anni di grandi successi e crescita e nel 2013 HAGAKURE (ornai un’agenzia di quasi 100 persone) si unisce ad altre due strutture e diventa DOING, la più grande agenzia digital italiana. Sono anche autore per Feltrinelli-Apogeo di alcuni libri sull’argomento e guest lecturer presso varie università italiane.
Come e perché ti sei appassionato al sake?
Durante un viaggio di lavoro in Giappone (terra che ho sempre studiato e amato) ho scoperto il sake: un tradizione ricca e importante come quella del vino da noi. E ho “scoperto” anche quanto poco la conoscevamo. Mi è sembrata subito una storia eccezionale da raccontare e tornato a casa mi sono recato dal notaio per far nascere “La Via del Sake”… un’associazione culturale con lo scopo di promuovere il “Washoku” (l’enogastronomia giapponese) in Italia.
Del sake in Italia non sappiamo moltissimo, al di là che è un fermentato di riso. Puoi raccontarci qualcosa di più sul riso in questione? Come viene coltivato? Che differenze ci sono con quello che mangiamo? Qualche aneddoto che non si trova sul web…
Il Sake è una bevanda di tradizione millenaria, proprio come il vino da noi. È legata alla cultura e alla religione giapponese (lo scintoismo) proprio come il vino da noi fa parte, oltre che della tavola, della nostra storia e cultura. Un ottimo modo quindi di capire un Popolo e un Paese, che sia l’Italia o il Giappone. Ci sono oltre 1300 produttori di sake in Giappone, alcuni giganteschi (i primi 5 fanno quei metà della produzione) e moltissimi piccoli artigiani che producono un sake di eccellenza e raro. L’avvento di stili di consumo internazionali presso le nuove generazioni del Giappone (birra, whisky, vino, cocktail, eccetera) ha diversificato i consumi e ridotto di molto quello di sake. Le esportazioni, oggi, coprono meno del 3% della produzione nazionale e i piccoli produttori sono a rischio e con loro una cultura straordinaria, che merita invece di essere apprezzata dai gourmet di tutto il mondo. Ecco perché aiutare l’internazionalizzazione del sake è una cosa molto importante, per preservare una grande tradizione unica al mondo.
Puoi rassicurarci sui metodi di produzione: è un prodotto sano o viene tempestato di pesticidi come, per esempio, l’uva della maggior parte dei vini industriali italiani?
Tra le bevande alcoliche il sake è forse quella più naturale che ci sia! Non c’è nessun ingrediente aggiunto a quelli naturali: riso, acqua (che deve essere purissima), lieviti naturali e il “Koji” (un fungo naturale che converte gli amidi del riso in zuccheri). Nient’altro. Il sake è quindi naturale, sicuro, fresco. Una volta imbottigliato è pronto per essere apprezzato, ci sono sake invecchiati sino a 30 anni e oltre. Tutti leggeri, delicati ed eleganti. Anche la coltivazione del riso da sake, piante più alte e resistenti de normale, non essendo frutta, è meno soggetta ad attacchi e quindi a pesticidi.
Parlando con alcuni produttori, abbiamo scoperto che molti sake che arrivano in Italia vengono prodotti solo per il mercato occidentale. Come mai?
Non è esattamente così. Negli anni 70 è iniziata la produzione, da parte di alcuni giganti giapponesi del sake, al di fuori del Giappone, In particolare USA, Australia e Brasile (mercati molto grandi) hanno visto i giapponesi aprire stabilimenti locali che fermentavano il riso locale per fare sake a basso costo e senza i costi di dazi doganali e trasporto. Nei mercati minori (come per esempio l’Italia) i primi sake ad arrivare sono stati proprio questi, in quanto il commercio da e verso gli USA era logisticamente e normativamente più facile. Da qualche anno ormai, però, arrivano da noi sake prodotti in Giappone e di grande qualità.
Puoi presentarci la nuova edizione di Milano Sake Festival? Ci sarà anche un fuori sake?
Quest’anno abbiamo un’edizione ricca di contenuti con tre partner importanti che ci hanno consentito di realizzarla al meglio. In primis JSS (L’associazione dei produttori giapponesi di sake e shochu), una vera istituzione che ci ha aiutato a portare a Milano 7 produttori per la prima volta in Italia. La prefettura di IWATE porta il suo asso “Nanbu Bijin” per una specialissima cena in collaborazione con uno dei ristoranti giapponesi più pregiati di Milano: Wicky’s.
Hasegawa saketen, infine, ci parlerà di cocktail al sake e mitologia con i consigli del bravissimo Gen Yamamoto e sponsorizzerà assieme a GEKKEIKAN il contest SAKE MAESTRO con in palio un viaggio di formazione in Giappone per chi preparerà il miglior aperitivo a base sake. Oltre a ciò un gran numero di eventi a partire da lunedì 3 che culmineranno nelle due giornate a Cascina Cuccagna. Domenica 9 per il grande pubblico, con ingresso previa quota associativa di 15€ per l’anno 2016 e degustazione gratuita di oltre cento etichette. Lunedì 10 giornata riservata ai professionisti in partnership con Associazione Italiana Sommelier e Bargiornale, con contenuti tecnici e seminari.
Trovate tutto il programma qui.
Che prospettive ci sono per il sake in Italia?
L’Italia è ancora un mercato molto piccolo, ma credo ci siano due fattori che lo rendono interessante. Il grande successo della cucina nipponica e l’evento numero di ristoranti giapponesi, da un lato, e la profonda cultura enogastronomica dell’Italia dall’altro. Se il primo “canale” è più immediato, il secondo è molto interessante, il Sake (vino di riso, cereale protagonista della nostra storia) lega benissino con la cucina italiana e ci consente di “riscoprirla”. La nostra ricchezza culturale in materia, a volte, è anche un limite che ci porta a essere diffidenti da ciò che viene da fuori. Ma con un Paese ricco di qualità e tradizione, come il Giappone, con un po’ di pazienza possiamo costruire un grand legame.
Sono previste attività di marketing con i barman? Nel mio caso, sono stati loro a introdurmi a questa bevanda alcolica (escludendo il terribile “sake” servito da alcuni pseudo ristoranti sinogiapponesi).
Sì, anche se il sake dà il meglio di sé liscio e a tavola, in abbinamento al cibo. Si presta comunque a cocktail delicati e leggeri ed è perfetto per la nostra cultura dell’aperitivo, con piccoli abbinamenti. Lunedì 10 ottobre al Festival presenteremo il contest “SAKE MAESTRO”, che ogni anno premierà il miglior “interprete” italiani del sake, con sfide ogni anno diverse. In questa prima edizione il challenge (la sfida) è di creare un aperitivo ispirato al sake. Il vincitore passerà 5 giorni in Giappone in una storica cantina a fare il sake e a impararne l’arte e a studiare il sake con il più famoso mixologist di Tokyo, il mitico Gen Yamamoto.
Quali sono i migliori produttori di sake?
È un po’ come il vino, ce ne sono di ogni tipo e di ogni livello. Dewazakura ha vinto questa primavera il premio di cantina dell’anno al prestigioso IWC Challenge, tenutosi per la prima volta in Giappone, a Kobe. Masumi, che si beve in alcuni ristoranti top a Milano, è un produttore mitologico, in quanto dalla sua cantina proviene il lievito più famoso del Giappone, il n°7, e infatti ha una bottiglia celebrativa di grande pregio, il “Masumi Nana Go (numero 7)”. Nambu Bijin rappresenta l’eccellenza della regione agricola del nord, con il suo “Shinpaku”, un sake fermentato da riso ad alto grado di raffinazione (la levigatura che pulisce il chicco dagli strati esterni). Fukumitsuya, con i suoi pregiatissimi sake invecchiati sino a 30 anni e con i giovani, elegantissimi secondo la “scuola” di Kanazawa, terra di Geishe e Samurai. Hakkaisan, un classico della regione di Niigata, che produce cache secchi ed eleganti. Ma ce ne sono moltissimi altri, non vi resta che venire a scoprirli domenica prossima.
Tu cosa bevi di solito?
Da buon veneto bevo vino e da buon amante della cultura giapponese sake. Da qualche anno mi sono molto appassionato alle birre. Nessun superalcolico: solo sake, vino e birra. E la mattina tè verde.
É un periodo parecchio favorevole per il mondo dei bar e dei barman a Milano. Qual è il tuo punto di vista? Li frequenti? Ti piacciono?
Molto, credo siano emersi grandi protagonisti e avranno di fronte un futuro roseo. L’esperienza, oltre al prodotto, naturalmente è sempre più importante per le persone. E a Milano abbiamo dei veri talenti. Spero possano scoprire le opportunità che il sake può dare loro per essere ancora più apprezzati dalla clientela preparata ed esigente della nostra città.
Quali sono i locali di Milano che frequenti?
Tutti i giapponesi, quelli veri, da Yuzu a Finger’s Garden, da Wicky’s a Sumire, Osaka e molti altri… Amo Spazio, di Niko Romito, pulito e piacevole. Il mio “rifugio” è il Vinodromo, un piccolo wine bar in zona Bocconi, caldo e accogliente con cui organizziamo tanti eventi. Per gli appuntamenti importanti vado da Trussardi alla Scala dal bravissimo Luca Cinacchi.
E quelli in cui vai a bere sake?
La Saketeca di viale Piave, dove la bravissima Mika sa sempre consigliare. Il Vinodromo di via Salasco che unisce la cultura del vino a quella del sake. E presto da SAKAGURA, che aprirà a breve i battenti con una grande selezione di sake. Poi bevo sake a cena nei giapponesi migliori.
Cosa ti piace fare in città quando non lavori?
Organizzare eventi sul sake. Viaggiare. Andare in bicicletta. Spesso assieme, almeno gli ultimi due solamente…
Ci consigli una città per organizzare un viaggio dedicato al bere? Perché?
Tokyo. Sake a parte la qualità della vita a Tokyo è altissima. Si trovano i grandi vini internazionali, i migliori sake e whisky giapponesi, una cultura di bartending ai livelli massimi. Più vicino a noi, a due passi da Milano, imperdibile la Franciacorta, con una bella allure internazionale.
Cosa significa per te bere responsabilmente?
Ho sempre apprezzato molto il libro di Mauro Corona “Guida poco che devi bere!”. Credo che il messaggio “Non bere in sé e per sé” funzioni poco, specialmente con i più giovani, e quindi sia addirittura pericoloso, porti alla dissimulazione e a comportamenti a rischio. Bere responsabilmente vuol dire certamente, come prima cosa, non esagerare, ma anche essere consapevoli dei pericoli in cui si può incorrere quando si è bevuto ed essere smart, mettersi al riparo dai rischi. Dovremmo introdurre in Italia la cultura inglese del “designated driver” (amico a turno che non breve e guida) e comunque saperci godere la vita e il bere, senza correre rischi stupidi e inutili.
E, qualora avessi esagerato, qual è il tuo rimedio?
Dormire. Bere tanta acqua. E provare a bere il sake, che al mattino dopo lascia molto meno hangover… giuro! I giapponesi, popolo stacanovista, infatti la sera bevono sake come alpini e al mattino freschi in ufficio.