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Riccardo Sciutto

L'amministratore delegato di Sergio Rossi che (ri)porta l'arte in azienda

Written by Lucia Tozzi il 13 December 2018
Aggiornato il 17 December 2018

Riccardo Sciutto

Attività

Manager

Con un passato in Pomellato e in Tod’s, Sciutto è approdato nel 2016 alla nuova Sergio Rossi di Investindustrial, diventandone il CEO. Nel giro di pochi mesi ha impresso una svolta fortissima rispetto agli anni della governance francese, concentrando tutte le proprie forze sul recupero della storia, della cultura e dell’estetica del marchio per dargli una struttura che lo potesse rilanciare meglio sui nuovi mercati, affrontando strumenti e tattiche di nuovo conio. Seguendo il principio che solo la conoscenza profonda di sé consente di aprirsi al mondo, Sciutto ha iniziato a costruire, con l’aiuto di Rossella Farinotti, una collezione di arte contemporanea in dialogo con l’arte espressa per più di mezzo secolo dalle produzioni Sergio Rossi, con opere concepite, realizzate e situate in Romagna, a San Mauro Pascoli, all’interno della fabbrica che continua a generare le amatissime e iconiche scarpe.

Come è nato questo progetto artistico?

Avviare la costruzione di una collezione di arte site-specific è stato un atto naturale, quasi direi organico a quello che stiamo facendo da più di due anni: valorizzare il nostro patrimonio culturale, il nostro luogo di produzione, il nostro lavoro. Con Rossella Farinotti abbiamo fatto una prima selezione di tre artisti italiani di diverse generazioni (Vedovamazzei, Ettore Favini e Davide Allieri) e li abbiamo portati qui perché prendessero contatto con le persone che lavorano da anni alla qualità di queste scarpe, perché potessero osservare e capire profondamente in che cosa consiste il processo unico di Sergio Rossi, e quindi fossero in grado di valorizzarlo, di elaborarlo, di restituire a noi un’immagine vibrante della bellezza di tutto questo.

L’interazione ha funzionato?

Assolutamente sì: gli artisti sono rimasti affascinati, quasi ipnotizzati, dall’accumulo di competenze, di oggetti meravigliosi dell’archivio, dall’amore che sia i nostri lavoratori che i destinatari delle scarpe (le due cose poi naturalmente non si escludono a vicenda) portano per questi manufatti preziosi. E vedere il riflesso di questa passione nelle loro facce, ma soprattutto nelle opere d’arte che hanno realizzato, ci ha tutti riempiti di orgoglio. Quando arriviamo in sede e l’occhio viene catturato dal rosso pulsante del neon di Vedovamazzei, o dall’altro lato dal riflesso dorato del Billdor di Davide Allieri, siamo tutti più felici. Per non parlare delle Vele al terzo di Ettore Farini, realizzate dalle mani dei nostri artigiani.

Parliamo dell’archivio: come l’avete costituito, e qual è la sua consistenza?

Abbiamo costituito una squadra che dall’inizio del 2017 – con la consulenza di Beyond Heritage – ha ricercato, comprato e recuperato migliaia di forme, di scarpe vintage da tutto il mondo, e poi catalogato e digitalizzato più di 2000 documenti, in modo da creare un archivio digitale e uno materiale, più un percorso espositivo all’interno della fabbrica, situato strategicamente tra i laboratori della modelleria e la manovia. La Galleria delle forme è una parete vetrata che espone le forme più importanti della storia del brand, raccontando allo stesso tempo quanto la ricerca della forma perfetta sia sempre stata fondamentale per Sergio Rossi e mostrando il “negativo”, come in una scultura di Rachel Whiteread, di ogni scarpa iconica uscita da queste mura. Il Living Archive, con i suoi cassetti pieni di scarpe vintage, di tacchi inverosimili o classici e di altri pezzi strutturali o complementari, è l’epicentro dell’archivio. E quella che abbiamo chiamato Living Emotions è una galleria dei modelli più pazzi o struggenti.

Questo è un periodo in cui è pienamente esplosa la passione degli archivi, in effetti, nel mondo dell’arte ma anche in quello imprenditoriale…

In questo caso non nasceva dall’esigenza di assecondare una moda, ma dalla necessità di colmare un vuoto che si era prodotto nei decenni precedenti. Sergio Rossi era emerso alla fine degli anni Cinquanta, all’inizio del boom turistico, e poi era diventato grande anche grazie all’amicizia con Fellini e con altri personaggi che gli avevano assicurato un circuito internazionale. Dopo avere prodotto scarpe per i più grandi brand di moda, negli anni Novanta, il marchio fu acquistato dai francesi di Kering, che lo hanno espanso ma lo hanno completamente spersonalizzato. Quando il gruppo Investindustrial di Andrea Bonomi lo ha fatto tornare al 100% un marchio italiano, fare emergere l’identità originale è diventata una missione per restituire grandezza e dinamismo all’azienda.

Ma non temeva il rischio di restare impantanato nel glorioso passato?

Al contrario, abbiamo prodotto una grande sferzata di energia. Investendo sulla fabbrica e sulle persone abbiamo incentivato la produzione da 200 a 1100 scarpe al giorno. Questo ci consente di rispondere in tempi rapidissimi alle mutevoli richieste del mercato: ai negozi pop-up, alle vendite online, alla fornitura quasi immediata dei negozi di tutto il mondo, agli ordini personalizzati. Il caso più noto è quello di Beyoncé, che riforniamo con decine di scarpe per i concerti. Una volta le abbiamo mandato 30 scarpe in una settimana, e ogni scarpa che esce dalla manovia è passata da più di 100 mani.