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Soulfood Forestfarms e il golfo agricolo di Corvetto

La spinta del mondo agricolo che non vuole abbandonare la città, la forza della terra che cerca di resistere

Written by Giorgia Martini il 5 September 2023
Aggiornato il 21 September 2023

È domenica pomeriggio, prima di incontrare Alessandro, uno degli ideatori di Soulfood Forestfarm, costeggiamo i loro campi. Per arrivarci si passa da via Vaiano Valle, divenuta celebre per lo sgombero di un grande campo rom, lo scorso anno. A est Corvetto, a ovest Vigentino, a sud la Vettabbia, duecento ettari in concessione, incastrati fra i palazzi, che Alessandro definisce golfo agricolo. Così, Soulfood prova a restituire alla terra la residenza in un luogo che le è sempre appartenuto. 

«La terra non è più soltanto il luogo dove materialmente si coltiva, ma un vero e proprio presidio culturale, lo spazio per attuare un progetto di rigenerazione più ampio e inclusivo.»

 

I balconi dei vicini affacciano sui vostri campi, ovunque ci si volti, si vedono case e palazzi, cosa ci fanno duecento ettari di terra coltivabile in mezzo ai quartieri della periferia sud di Milano?

Le terre in via Vaiano Valle sono state sequestrate dal comune a Salvatore Ligresti, uno dei palazzinari più famosi degli anni ‘70 e ‘80. Ligresti, che è diventato celebre come “il Re del mattone”, aveva cercato di rendere tutta la zona edificabile, senza riuscirci. Vaiano Valle fa parte del Parco agricolo Sud, per questo si è scelto di preserevarne la natura originaria includendolo all’interno del bando per l’assegnazione di Cascina Sant’Ambrogio, oggi Cascinett, in zona Vigentino. Il bando del 2016 inizialmente prevedeva quattro anni di gestione, ma ha poi esteso il periodo a trenta, purché la Cascina mantenesse la propria identità agricola. Da lì l’idea di includere anche i terreni di Corvetto, data la difficoltà di portare avanti attività agricole nell’area immediatamente nei pressi di Cascinett, che raggiunge appena i due ettari. A quel punto sono stati investiti 200 mila euro per la ristrutturazione ed è nato così un progetto molto più ampio, che ha incluso noi come Soulfood Forestfarm, ma anche una serie di altri soggetti, nell’ottica di creare un’ampia rete di produzione agricola e culturale.

Agricoltura e cultura, come riuscite in Soulfood Forestfarms a tenere insieme questi due mondi?

Noi nasciamo come impresa sociale e associazione un anno e mezzo fa, anche se con Cascinett abbiamo iniziato a lavorare nel 2016. Stiamo cercando di creare un parco agroforestale, dove oltre alle attività legate alla terra, quindi pratiche di forestazione utili per fornire concretamente servizi ecosistemici ai cittadini, ci sia ugualmente spazio per attività di natura sociale e culturale. Il nostro approccio è ecologico in senso ampio e nella pratica si traduce nella realizzazione di corsi e laboratori, soprattutto negli spazi di Cascinett, ma anche in quelli di Farini Work, dove abbiamo la possibilità di utilizzare alcune stanze proprio per questo genere di iniziative. Sempre nell’ottica di coltivare il rapporto fra agricoltura e cultura, stiamo lavorando con Davide Longoni, proprietario di una serie di panifici a Milano, che sposano appieno questa causa. La loro idea è quella di completare interamente la filiera di produzione del pane in città, coltivando il grano e la segale nei pressi del luogo di trasformazione. In questo modo la terra non è più soltanto il luogo dove materialmente si coltiva, ma diventa un vero e proprio presidio culturale, lo spazio per attuare un progetto di rigenerazione più ampio e inclusivo. Per questo motivo è nata Madre Project, la scuola per panificatori aperta da Longoni. Le ragazze e i ragazzi che la frequentano non vengono formati solo sulle tecniche di produzione del pane, ma seguono un percorso più ampio, che dà loro nozioni di agronomia e di cultura del pane, per esempio seguono corsi d’arte e di teatro.

Concretamente cosa fate in Soulfood Forestfarms?

Le attività principali sono di due tipi: da un lato coltiviamo concretamente la terra, applicando le tecniche di agroforestazione successionale, e dall’altro vendiamo servizi e consulenza alle aziende agricole e non. Con le prime facciamo un lavoro incentrato sulla transizione ecologica, le supportiamo nel passaggio, fornendo competenze tecniche e gestionali; con le seconde invece abbiamo iniziato un progetto per la compensazione delle emissioni di CO2 che generano in fase di produzione. Di fatto vendiamo pacchetti di alberi, che mettiamo a dimora e coltiviamo, a nome delle aziende che ne finanziano la piantumazione. Poi c’è una terza parte di attività che riguarda la dimensione più strettamente culturale, che portiamo avanti soprattutto con Cascinett ma non solo. In questo momento stiamo lavorando con Labsus, un ente che si occupa principalmente di gestire patti di collaborazione e sta facendo da collante fra varie associazioni per creare il Sentiero della Biodiversità, un percorso che attraversa il Parco Agricolo e conduce da un plesso scolastico ad un altro. Il fine è quello non solo di agevolare il passaggio nel Parco, ma soprattutto quello di offrire ai ragazzi e alle ragazze la possibilità di sperimentare la natura dentro la città, riappropriandosi di un luogo che nella storia è sempre stato fondamentale per Milano.

Puoi dare una spiegazione for dummies di cosa sia l’agroforestazione successionale?

È una tecnica sviluppata in Brasile da un biologo svizzero, Ernst Götsch, che l’ha studiata in clima tropicale e che ora noi stiamo cercando di applicare in clima temperato. Pensa alla siccità che stiamo soffrendo in questo momento, si alternano piogge molto intense a momenti di assenza totale e prolungata di acqua, per questo molti alberi muoiono se non vengono bagnati sistematicamente e a volte anche questo non basta. Ma in natura la resistenza degli alberi è notevolmente più elevata. I campi, lasciati a loro stessi, nel tempo sono diventati boschi e nessuno li ha mai bagnati nei periodi di carenza d’acqua. All’interno dei boschi non sono presenti monocolture, ma complessi ecosistemi che si sviluppano all’interno di un processo che definiamo di successione ecologica: le piante nascono spontaneamente in sequenza, a seconde delle esigenze delle varie specie. Ogni comunità ha un ruolo nell’ecosistema e alcune famiglie di piante vivono in funzione di altre famiglie, più esigenti e complesse, aumentando così la quantità di vita. Noi cerchiamo di riprodurre all’interno delle nostre colture questa pluralità, contemplando nella progettazione tutte le funzioni che di norma vengono svolte dalle varie comunità di piante in natura. Questo naturalmente ha un costo non indifferente, primo perché la densità dei nostri campi è inevitabilmente più bassa del potenziale, dovendo contemplare lo spazio non soltanto per il melo, ad esempio, ma per tutto l’ecosistema di cui ha bisogno il singolo albero, ma anche perché ciascuna pianta ha i suoi costi di gestione. Per questo adesso il nostro obiettivo principale è quello di raccogliere fondi per sviluppare l’automazione e ridurre in parte il peso della forza lavoro umana.

I vostri campi sono letteralmente incastrati in mezzo ai palazzi, l’integrazione con il quartiere, oltre che fisica, è anche spirituale? Come cercate di coltivare i rapporti di vicinato?

Sicuramente non è facile, per tanti motivi. Cerchiamo di promuovere iniziative per creare interazione. In questo momento ci stiamo organizzando per avviare un pollaio di quartiere: adotti una gallina e passi a ritirare le tue uova. In generale sappiamo che le persone sanno che ci siamo. Collaboriamo molto con l’Università di Milano, in particolare con il corso di laurea in Scienze umane, dell’ambiente e del paesaggio e con loro abbiamo fatto una survey per capire cosa pensasse il quartiere di noi. L’esito è stato positivo, anche se in tanti ci hanno fatto notare che fanno fatica a capire quando possono venire a trovarci e quali sono le nostre iniziative. Sappiamo di non aver ancora implementato un apparato di comunicazione ben strutturato, ci appoggiamo alla nostra newsletter e a Cascinett, ma avremmo bisogno di aprire altri canali comunicativi per coinvolgere le persone in modo più stabile e continuativo. Speriamo che il Pollaio ci dia una mano.