Dirigere dal punto di vista artistico una grande istituzione vuol dire modellarla sul territorio, attenti e sensibili ai bisogni interni e esterni, generando un contenuto fertile e propositivo. Ci siamo fatti raccontare tutto questo e molto di più da Vicente Todolì, Direttore Artistico di Pirelli HangarBicocca dal 2012 e che quindi da oltre dieci anni accompagna l’istituzione nel suo percorso verso quello che viviamo e vediamo oggi.
«Un’istituzione è metaforicamente simile a un corpo.»
Sei Direttore Artistico di Pirelli Hangar Bicocca dal 2012, ovvero da più di dieci anni. Sono sicuramente stati anni intensi perché si vede il grande lavoro di creazione di una struttura solida e fruibile, con una visione sul lungo termine. Dietro tutte queste scelte e questo lento lavorio, c’è sicuramente la consapevolezza di una grande responsabilità: quella di esserne il direttore artistico. Pensi che in qualche modo si possa riuscire a raccontare la visione e le sensazioni di questo ruolo?
Essere il Direttore Artistico di un’istituzione significa comprenderne e definirne l’identità. Per poterlo fare, bisogna partire sempre dal luogo in cui ci si trova e interrogarsi sul sense of place che esso comunica. Un’istituzione è metaforicamente simile a un corpo, si parte dai piedi, dalle fondamenta che ti ancorano a terra e definiscono il tuo posto nel mondo, permettendo di salire, fino alla testa, che, come un radar, capta l’ambiente circostante, il territorio, ma anche più in là. Ogni istituzione ha una sua personalità e attraverso questa si può dare nuova vita all’arte, perché ogni mostra è una concatenazione di vite differenti dell’edificio e dell’architettura. Per me non vuol dire soltanto fare arte e abitare uno spazio, ma è infondere una nuova storia e una nuova vita a un luogo. Allo stesso tempo per me significa anche offrire opportunità uniche e irripetibili agli artisti, permettendo loro di lavorare con lo spazio senza trasformarli in quello che non sono mai stati o che non sono, facendo emergere le loro caratteristiche e peculiarità, senza snaturare la loro pratica. Per questo, come Direttore Artistico, ho responsabilità verso l’arte e verso gli artisti, ma anche verso le diverse comunità di riferimento: sia quella degli addetti ai lavori, la comunità internazionale di curatori, ricercatori e storici, sia quella territoriale della città di Milano, e internazionale. Bisogna attrarre pubblico nuovo e diversificato, senza però abbassare il livello di qualità delle mostre e della ricerca. Ogni mostra implica la possibilità di poter leggere le opere di un artista sotto un altro punto di vista.
C’è un punto che ci sta molto a cuore ovvero il fatto che a Milano, nonostante la sua lungimiranza su tantissimi settori creativi e sensibili, non ci sia un museo pubblico di arte contemporanea. Questo è un ruolo di cui si sono fatti carico i privati, tra cui anche Pirelli Hangar Bicocca. Questa dinamica ovviamente riporta delle complessità ma la vostra attitudine è sempre stata molto generativa e a stretto contatto con il tessuto sociale. Ce ne parli.
A Milano c’è bisogno di un museo pubblico di arte contemporanea, con una sua collezione e ricerca. Pirelli HangarBicocca, per quanto indispensabile per le mostre che presenta e le sue attività, non basta: innanzitutto perché non ha una sua collezione – ma solo le due installazioni permanenti di Anselm Kiefer, I Sette Palazzi Celesti 2004-2015, e La Sequenza di Fausto Melotti –; poi perché non è una struttura adatta a ospitare mostre che necessitano di climatizzazione specifica. Un museo pubblico d’arte contemporanea serve anche perché più siamo meglio stiamo, a Milano da sempre si creano interessanti sinergie tra pubblico e privato e perché no, forse può accadere anche nella scena artistica cittadina più contemporanea.
Ma arriviamo al vero centro del tuo, del vostro lavoro: l’arte e gli artisti. Pirelli Hangar Bicocca si è sempre distinta per l’approccio ai percorsi di mostra, sempre totalizzanti e fortemente installativi, oltre che a una selezione di artisti internazionali di grandissimo calibro e con ricerche d’avanguardia. Tutto questo ha segnato profondamente la visione dell’arte di un intero territorio, avete in qualche modo generato una storia dell’arte, che forse ogni tanto manca un pochino della fluidità dei linguaggi più emergenti. Cosa ne pensi? In che modo vi approcciate alle programmazioni?
La programmazione è un lavoro di squadra: insieme al dipartimento curatoriale ricerchiamo e selezioniamo gli artisti la cui opera riteniamo si possa relazionare al meglio con la struttura di Pirelli HangarBicocca, che è suddivisa in due spazi espositivi, Shed e Navate. Nel primo, dalle dimensioni più ridotte, presentiamo il lavoro di artisti mid-career. In questo caso l’architettura influisce sulla nostra scelta, ma nelle Navate, dove sono esposti artisti più affermati e storicizzati, lo spazio determina le scelte. Lì l’opera d’arte deve instaurare un rapporto simbiotico con l’architettura, in modo che entrambe ne possano beneficiare. Noi immaginiamo retrospettive site-specific, uniche e irripetibili, perché costruite su una relazione unica con lo spazio. Non solo, ma per noi è importante anche instaurare un dialogo stretto e profondo con l’artista, costruendo insieme passo a passo le scelte espositive. Non esponiamo artisti emergenti, perché realizziamo solo retrospettive e guardiamo indietro nel lavoro di artisti che hanno già una pratica solida. Ma quello che facciamo però è collaborare con artisti più giovani e locali: per esempio nella realizzazione di progetti educativi, dai campus estivi alla formazione per docenti, o nella creazione, in collaborazione con Pirelli, del trofeo di Formula 1 del Gran Premio di Monza, come avviene ormai da un paio di anni. Abbiamo anche un programma di eventi collaterali alle mostre che coinvolge artisti, performer, musicisti e studiosi.
La storia del Pirelli Hangar Bicocca è fedele a se stessa: porta il nome sia dell’azienda che le fa da padre, sia del luogo in cui sorge: il quartiere Bicocca. Come è cambiato in tutti questi anni? Rispetto all’inizio in cui c’eravate davvero solo voi, cattedrale nel deserto?
Rispetto a un tempo, si sono trasferite nella zona diverse industrie creative e startup e questo sicuramente è beneficiato dalla presenza di Pirelli HangarBicocca. Inoltre, ci sono diversi nuovi edifici, nuove aree abitative e un parco pubblico che rendono Bicocca un quartiere in senso più residenziale. Lo si nota anche nei visitatori del weekend in Pirelli HangarBicocca, che lo frequentano come museo e spazio di quartiere: tra mostre, attività educative e il bistrot, è una meta imprescindibile degli abitanti di zona.
Tu hai una doppia anima, italiana e spagnola. Come ti sei legato a Milano?
Io viaggio molto, soprattutto per lavoro, e sono sempre in giro a fare ricerca e a incontrare artisti e curatori. Ma seguo anche da vicino e sono coinvolto nella vita artistica della città, visitando spesso le mostre di altre istituzioni, gallerie e spazi. Ma a me Milano piace per la grande offerta culturale, come design e moda, e per quella gastronomica. Amo molto i negozi di frutta e verdura, qui a Milano sono davvero unici per la loro esuberanza e varietà. Per questo mi trovo a frequentare anche mercati ortofrutticoli, come Campagna Amica di Via Friuli, o ho partecipato a diverse edizioni di Agrumi, la fiera di agrumi organizzata ogni anno dal F.A.I. a Villa Necchi Campiglio.
Anche se sei il direttore di Pirelli HangarBicocca, in realtà sei anche molto altro, primo tra tutto un curatore indipendente. In tutti questi anni cosa ha voluto dire collaborare costantemente con altri curatori? In che modo scegliete con chi collaborare?
Nel mio lavoro collaboro da sempre con diversi curatori, fin da quando ero direttore dell’IVAM a Valencia, in cui insieme al curatore interno programmavano più di venti mostre all’anno, per cui ci siano avvalsi del lavoro di curatori esterni. Lo stesso avveniva al Museo Serralves di Porto. In Tate Modern generalmente le mostre venivano curate internamente, ma ho sempre provato a invitare specialisti per mostre specifiche. Lo stesso avviene anche in Pirelli HangarBicocca, dove si presentano quattro mostre all’anno e non è capitato spesso di avere curatori esterni. Però ci sono stati diversi casi, soprattutto per quanto riguarda specialisti che hanno lavorato a lungo sull’opera di un artista: serve per facilitare la comunicazione, i rapporti con altre istituzioni e prestatori, e la conoscenza del lavoro. Ma solitamente le mostre sono sempre curate in tandem con un curatore interno, che conosce lo spazio e prende le decisioni sull’allestimento.
Tornando alla tua parte curatoriale c’è un progetto che hai fondato e che segui davvero con spirito di ricerca e commistione di linguaggi: la Citrus Foundation di Palmera. Oltre al fatto che vorremmo vederla tutti, ce la racconti?
La Fondazione è nata per salvaguardare il territorio agricolo da progetti edilizi, che avrebbero impattato sull’ambiente del luogo, proteggere la biodiversità degli agrumi e svilupparne la ricerca. Palmera è vicino al mare e ha il clima ideale per la crescita degli agrumi. Qui, gli alberi sono liberi di esprimersi e svilupparsi in modo da poter studiare la funzione dei loro frutti, dalla gastronomia alla medicina, fino alla cosmesi. Per me è come un museo vivente che muta ogni giorno, senza cambiare mai artista e opere. Ovviamente, per poter essere davvero sostenibili, vendiamo i frutti e altri prodotti derivati, come le marmellate. Collaboriamo anche con ristoratori e ristoranti per pensare e creare nuove ricette a base di agrumi. Proprio per questo nel 2020 abbiamo aperto un laboratorio-cucina, disegnato dall’architetto Carlos Salazar, in cui invitiamo chef a testare le loro idee.