Più che uno spettacolo, l’ultimo lavoro di Delbono è un diario di viaggio in cui il regista guida gli spettatori sulla giostra delle sue emozioni. «Penso alla gioia come a un racconto semplice, essenziale. Penso alla gioia come a qualcosa che c’entra con l’uscita dalla lotta, dal dolore, dal nero, dal buio. Penso ai deserti, penso alle prigioni, penso alle persone che scappano da quelle prigioni, penso ai fiori».
E così, tra le magnifiche composizioni di Thierry Boutemy, il regista ci accompagna tra il dolore, la rabbia, la morte, la rassegnazione e l’accettazione che la gioia non la si può spiegare né raggiungere, la si può solamente sentire, ognuno a proprio modo, perché, richiamando i versi di Rimbaud che rimbombano ancora di più con l’insostituibile assenza di Bobò, «Non esiste fiore migliore di quello che s’apre nella pienezza di ciò che è».
Scritto da Andrea Di Corrado