Se ci fosse ancora qualche dubbio sulle dimensioni dell’ego di Omar S, basta scorrere i titoli delle sue ultime uscite, da “The best” (non una raccolta di successi, ma album di inediti) a “One of a kind”, EP uscito nel 2018.
Il piglio, spesso quasi scontroso, con cui si mette ai piatti nei club, è cosa estremamente rara nel circo del divertimento notturno, dove nel recinto che include dj, promoter, “vippume” e claque al seguito, dominano sorrisi, effusioni e le mani scaltre che attingono all’alcol nei secchielli del ghiaccio.
Piaccia o meno, Omar S è, ormai stabilmente, uno dei migliori producer house e il peso massimo della metamorfosi del Detroit sound. Un peso massimo perché visionario, abrasivo nelle bassline portentose, instancabile nell’attingere sample tra cataloghi sconosciuti, convinto utilizzatore di uno snare possente che puntella la melodia del synth, diretto e delicato al piano.
Omar S non è per tutti, specie dal vivo: i passaggi da un disco all’altro sono ruvidi, la mano sul mixer è o assente o troppo pesante. Ho assistito a una data all’Oval Space a Londra dove la puntina saltava più del dovuto e i volumi sparavano sul rosso costante. Poi è partita la pianola di “Heard Chew Single” al massimo e dietro di me in pista si è levato un boato. Tutta la notte così, un rincorrersi di house sporca, aspra, bassi tra le costole e magnifici break di melodia da feel-good factor. Tutto ciò di cui un clubber ha bisogno.
Scritto da Raffaele Paria