Immaginarsi come saranno il mondo e l’uomo tra decine di anni è una delle più grandi sfide per diversi scrittori e registi. Fortunatamente l’immaginazione viaggia più veloce della tecnologia e della scienza reali, quindi non viviamo ancora in mondi al limite del distopico, ma il controllo dei dati è forse ancora più pericoloso di città immerse nella nebbia, di macchine volanti e di convivenze con alieni.
Il 2019 è l’anno in cui è ambientato “Blade Runner”, ma è anche l’anno in cui Katsuhiro Ōtomo proietta la sua Tokyo nel manga Akira, che poi diventa un film. Quando inizia a disegnare è il 1982 e si immagina la sua città in una fase post-atomica in preda a disordini politici, in cui giovani bande di teppisti, che si drogano e stuprano, sfrecciano su moto simili a navicelle sfidandosi tra loro. La comparsa di “bambini mutanti” dai super poteri fa scatenare, oltre a lotte anche tra le bande e i militari, delle ricerche che portano alla scoperta di Akira: un super mutante dalla potenza distruttrice peggio di un altro conflitto nucleare. Immaginatevi tutto questo racconto che da carta diventa film, la cui produzione iniziata nel 1988 arriva nelle sale italiane nel 1992, il cui costo è di più di un miliardo di Yen e ha comportato la realizzazione di 2.212 scene, per un totale di 160.000 disegni.
Oggi a Shibuya Parco, grazie al fashion brand giapponese Nana-nana, c’è un wall di illustrazioni dedicato al film e a Ōtomo, altre sono state esposte sempre su un wall a Los Angeles e ora un’altra selezione di disegni approda a Milano per poi finire al MoMA. Quando la realtà va oltre l’immaginazione.
Scritto da Zagor