Una “lingua ignota” che in realtà è familiarissima, ma attualizzata. Esattamente come per Macao. L’abilità di Kristin Hayter è saper riprendere in maniera molto fedele alcune voci esoteriche storiche e di spessore – Jarboe, Diamanda Galas, in certi momenti persino Björk – ma dandogli un aspetto nuovo, non “furbetto” ma sicuramente attuale. Un lavoro in gran parte estetico, ma che non per questo trascura la sostanza. Per molti versi proprio come fa Macao, che recupera l’attitudine dal basso degli spazi occupati nei Novanta ma con un linguaggio e un immaginario diverso, “al passo coi tempi”. Il risultato è una lingua che suona ignota sia per chi la conosce bene – perché non si raccapezza con le nuove coordinate – sia chi non la conosce proprio, perché i sapere non sono stati trasmessi.
Virtuosismi mischiati a fughe strumentali, tirate demoniache, strati di esperimenti sonori detonati nelle maniere più abominevoli. Si potrebbe parlare di noise, di industrial, di folk primordiale: quello di Lingua Ignota è un paradigma vecchio e nuovo, dove la commistione tra generi è figlia di un ardore creativo geniale ma consapevole. La Hayter mette in scena una performance tra incanto e sangue, dolore e liberazione, aprendo le porte a dimensioni che penetrano nella carne con infallibile intensità.
Vasopressin presenta un’artista – peraltro in data unica italiana – in linea con il resto delle delle proposte artistiche organizzate in questi anni, da Moor Mother a Charles Hayward via The Body. Un’attenzione particolare ad artisti che hanno sempre annesso la musica all’aspetto teatrale/performativo: attendiamo con ansia di trovarci al cospetto della nuova dea di Profound Lore.
Scritto da Valentina Vagnoni