La perdita di controllo solitamente viene associata a un evento improvviso, traumatico, subitaneo: la famosa goccia che fa traboccare il vaso che ci priva di un fare, di un pensare o di un agire razionale e socialmente condiviso; o il fato, l’imprevisto che piomba addosso e lascia in eredità sentimenti di impotenza consolatoria (doveva andare così) o di rammarico perpetuo (non doveva andare così).

La perdita di controllo protagonista di questa interessante mostra è invece lenta e ha nella chimica dell’oblio il suo segreto: da una parte delle vecchie foto ritrovate che dopo decenni di esposizione a muffe e altri agenti hanno perso ogni connotato, “lasciando nascere nuovi paesaggi di colore, forme astratte e organiche, universi fluorescenti”; dall’altro tre elementi installativi realizzati con delle piastrelle totalmente bianche e pulite fanno da contraltare ai vecchi spazi del Pastificio dove si faceva la semola, anch’essi oramai deformati dal trascorrere del tempo e più simili a grotte che a luoghi di lavoro. Non è forse tutta l’esperienza umana un’interminabile lotta per sottrarsi al gioco dell’ineluttabile ultimo attimo?