Torino, inverno tra il 1888 e il 1889, Friedrich Wilhelm Nietzsche 44 anni, tedesco, professore di Filologia Classica, in pensione da quasi dieci anni, da qualche mese risiede in città, in un alloggio di Piazza Carlo Alberto 6; proprio in quel luogo vede un cocchiere picchiare, prendere a frustate il proprio cavallo. L’intellettuale, che da tempo ormai si dedicava solo alla filosofia e alla musica, corre verso l’animale, lo abbraccia e cade a terra svenuto. Da quel momento non si sarebbe più ripreso dalla malattia mentale.
L’episodio ha fatto nascere l’ampio e complesso progetto di Giulia Marchi, Mutter ich bin dumm, “madre io sono stolto”, parole che il filosofo avrebbe pronunciato pochi giorni dopo passati in assoluto silenzio, in seguito all’accaduto.
La ricerca dell’artista, nel corso degli anni, è sempre stata legata a problematiche di matrice culturale, a partire dalle quali ha creato libri d’artista e quindi installazioni, oggetti, fotografie.
Il progetto è articolato ed eterogeneo sia nella scelta dei materiali che nella modalità di esposizione.
Il fulcro della ricerca si concentra sulla stesura dei cosiddetti “biglietti alla follia”, ventun lettere destinate a personaggi fondamentali per il filosofo. Brevi lettere dal contenuto perlopiù incomprensibile che Nietzsche ha scritto, dopo essersi parzialmente ripreso dalla grave crisi di follia. Follia che racchiude appieno il concetto di dionisiaco sul quale Nietzsche aveva ampiamente dissertato, in cui vita e pensiero si fondono in un unicum strabiliante.
Con i “biglietti alla follia”, Marchi tenta un approccio scientifico ai testi, affrontandoli come codici da decriptare. Nascono così ventuno matrici zincografiche impresse su carta cotone bianca, moderne “steli di Rosetta”, un antichissimo oggetto egizio di granodiorite, che ha permesso di decifrare i geroglifici. I ventun destinatari di queste missive sono ricordati da leggerissimi fogli nei quali è riportato il loro nome, resi immobili a terra da blocchi di ferro (materiali di risulta da fonderia) per ricordare le risposte mai arrivate al filosofo. L’artista riesce così a visualizzare la difficoltà del comunicare, che caratterizza tutto il progetto. Tematica già presente in altri suoi lavori e sulla quale si interroga da tempo.
Dai ventuno biglietti l’artista ha estratto cento parole, termini per lei fondamentali, attraverso le quali ha scritto le sue quattro “lettere alla follia”. Battute a macchina sono poste ognuna in una teca con relativa busta. Su ognuna di esse interviene con un segno pittorico tramite anilina gialla. Il giallo, colore dedicato alla follia e all’intelletto, è presente in tutto lo sviluppo del lavoro.
Fondamentale per la progettazione di Mutter ich bin dumm sono stati uno studio dei testi del filosofo sistematico e approfondito e una ricerca cinematografica in merito all’episodio del cavallo, nello specifico il film in bianco e nero del 2011 di Béla Tarr ed Ágnes Hranitzky Il cavallo di Torino (A torinói ló), in cui il riferimento iniziale a Friederich Nietzsche si sviluppa in una triste storia di incomunicabilità fra gli uomini.
Prenotazioni:
È consigliata la prenotazione sul sito web www.labsgallery.it oppure chiamando il numero 345 9088508.
Scritto da L.R.