Lottiamo sempre contro il tempo. Se il tempo passato non ci appartiene più in quanto irreversibile e il presente ci sfugge, tuttavia esiste un tempo che possediamo nel profondo: quello della memoria, e con lui il potere trasformativo della nostra immaginazione. Nella due mostre personali di Daniel V. Melim e Eugenia Mussa alla galleria Monitor, le opere di due artisti apparentemente distanti si fanno portatrici di una ricerca comune su un unico tema: la cura del passato.
Eugenia Mussa, originaria del Mozambico, vive e lavora ormai da anni in Portogallo. Qui costruisce il suo archivio visivo dando vita costantemente a un intreccio magico: le memorie legate alla sua terra d’origine e al suo vissuto personale scivolano e si immergono nelle immagini trovate in libri, video amatoriali e cartoline, diventando con esse un tutt’uno. Il processo è semplice: ogni scelta di inclusione è l’esclusione di una parte di realtà, esattamente come in uno scatto fotografico; ciò che escludo non è mai avvenuto. Così nell’immagine da lei scelta esiste solo la porzione di vissuto eletto per essere rinnovato, trasformato in pittura e per questo ricordato. Una tecnica quasi impressionista nella realizzazione, pop a tratti nella scelta del colore, delicatissima nell’utilizzo della carta come supporto. Le pennellate di colore a olio sono ampie, inducono alla serenità, quasi come un respiro profondissimo.
Daniel V. Melim, originario di Madeira, vive anche lui ormai da anni a Lisbona. I piccoli pupazzi di legno appartenenti a un presepe del XIX Secolo e i frammenti di antichi altari presenti in mostra, attingono tutti alla prima parte di vissuto dell’artista legato all’isola portoghese e, nel riproporli a noi oggi, evita così che vadano perduti. Affianco a opere dipinte su legno troviamo delle immagini “non supportate”, realizzate con vernice acrilica su una membrana acrilica trasparente. Durante il processo di realizzazione di questi lavori, l’artista dipinge per la maggior parte del tempo vedendo solo il retro dell’immagine. Se ci pensiamo è ciò che facciamo spesso anche con i ricordi: li guardiamo dallo specchietto retrovisore, una volta che sono passati. Daniel V. Melim con la sua arte cerca continuamente profondità, legami con il suo trascorso e quello delle persone. Per fare questo ricorre spesso anche al canto, che dalle sue antiche origini è stato da sempre il mezzo che usava l’uomo per narrare il passato e celebrare il presente.
Quello che resta dopo la visita di questa doppia personale è che l’arte detiene ancora quell’enorme potere di limitare la caduta delle cose: levando il suolo, la gravità della memoria non ha peso, ma acquisisce molteplici forme.
Scritto da Anna Iacovino